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Soia o non Soia: le controverse teorie su questo fitoestrogeno per le donne con tumore al seno

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Sulla soia si dice di tutto e di più. Anche se la maggioranza di ricercatori, medici e nutrizionisti, è d’accordo  nell’affermare  che l’apporto di soia nel regime alimentare sia positivo per la salute, esiste  una certa controversia  sul consumo di questo alimento in due casi ben precisi, nelle donne in menopausa ed in quelle che hanno o hanno avuto un tumore al seno. Afrodite K ha letto parecchio su questo argomento alla ricerca di qualche indicazione utile per fare le proprie scelte alimentari e terapeutiche. Date un'occhiata al materiale che ho raccolto e poi, questa è la filosofia ed il metodo che uso da quando mi sono ammalata, valutate e decidete voi cosa fare con la soia usando anche e soprattutto il buon senso visto che una cosa è certa sull'argomento soia: una verità assoluta non c'è. Ma del resto, su cosa c'è verità assoluta?
Cos'è la soia
Si tratta di è una pianta erbacea originaria dell'Asia orientale appartenente alla famiglia delle Leguminose e quindi fonte proteica (approfondisci)


Prima della diagnosi di luglio 2013, consumavo regolarmente il latte di soia (rigorosamente biologico) soprattutto per farmi lo yogurt di soia con la yogurtiera (base della mia crema budwig mattutina). Quando ho scoperto di avere un tumore al seno ormono-sensibile e che la soia è un fitoestrogeno, mi sono posta il problema se continuare o meno a consumarne. Non mangiando latticini, il latte di soia è l'unico modo di farsi uno yogurt che sia minimamente proteico, quindi ci tenevo a poter continuare ad utilizzarlo per la yogurtiera.
Ho iniziato ad informarmi raccogliendo un sacco di articoli su questo tema. C'è davvero un sacco di confusione e soprattutto pareri moooolto discordanti.
Anche tra gli oncologi, c'è chi risponde "no, assolutamente, no", tra chi dice (come l'oncologa dello IEO di Milano che ho consultato io, dott.ssa Alessandra Balduzzi) "basta non prendere integratori a base di soia o il fagiolo proprio, il latte di soia è irrisorio come quantità di soia contenuta", e chi si limita a sorridere.
C'è da considerare che purtroppo ci sono molti oncologi con preparazione e conoscenza sull'argomento alimentazione ed alimentazione oncologica, pari a zero.

Dopo aver letto quanto segue (ma anche molto altro), chiesto a degli oncologi, parlato con altre donne operate al seno (ognuna delle quali aveva chiesto o ricevuto indicazioni dal proprio oncologo) ho mixato tutto con il mio buon senso e, per me, ho deciso quanto segue: non assumo integratori di soia (non lo facevo neppure prima della diagnosi di cancro al seno), non mangio tofu o fagioli di soia, mi limito ad assumere il latte di soia biologico per fare lo yogurt. In 1 litro di latte di soia c'è una percentuale molto piccola di soia (in quello che utilizzo io esattamente 6,7%) che tra l'altro non consumo ogni giorno (1 litro di yogurt fatto con il latte di soia mi dura circa 4/5 giorni).

Eccovi un bel pò di materiale su soia e tumore al seno per diventare pazienti più informate e consapevoli delle proprie scelte. Si tratta di una selezione che ho fatto nel tempo tra moltissimi articoli.

Cominciamo con un'interessante intervista (febbraio 2013) alla dottoressa Maria Assunta Coppola, biotecnologa medica, e nutrizionista, tra i responsabili del Consultorio di Prevenzione dietetica dei Tumori pressi l’Istituto oncologico “Pascale” di Napoli intitolata Soia: proprietà e controindicazioni nel tumore al seno .


Uno studio cinese: soia sicura dopo un tumore al seno (gennaio 2010)

La Fondazione Veronesi ritiene la soia un'arma contro i tumori  ereditari del seno (dicembre 2013)

La dietista Arianna Rossoni invece spara a zero in Soia: cibo miracoloso o business food? (giugno 2014)

Uno studio (in inglese) sugli effetti negativi della soia sulla proliferazione del cancro al seno: Effects of soy-protein supplementation on epithelial proliferation in the histologically normal human breast (2014)

Articolo da ginecologia.net: Isoflavoni della soia: effetto sulla recidiva di carcinoma mammario e sulla mortalità nelle pazienti in terapia endocrina adiuvante (2010)

Infine leggetevi tutto, ma proprio tutto, l'interessantissimo ed approfondito articolo (ottobre 2012) del dott. Salvo Catania che presenta una sezione dedicata anche al rapporto soia e tumore al seno. Leggi

Lavoratori autonomi e malattia: la differenza sostanziale tra uguaglianza ed equità

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Il mantra che non sussiste discriminazione tra lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti per quanto riguarda sanità e malattia è diffuso. In fondo, l'accesso alle cure sanitarie ed ai servizi delle asl è dato a tutti indiscriminatamente, no? L'esenzione 048 per i pazienti oncologici mica si differenzia forse per tipologia di lavoro? Quindi di che cosa vi lamentate, care partite iva, professionisti, commercianti, artigiani & company? Volete forse corsie preferenziali? Ma via, statevene buoni e tranquilli, brutti evasori arricchiti!

L’UGUAGLIANZA è dare o togliere a tutti qualcosa senza curarsi di chi sono le persone e come stanno.
L'EQUITA'è invece dare o togliere in relazione alle possibilità di ognuno e non in modo assoluto. Non sarebbe un concetto così difficile da capire. Ed è pure scritto espressamente sulla nostra Costituzione! L'art.3 è molto chiaro"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese."
Occhio però che se chiedo ad un liberale “cosa vuol dire per te uguaglianza?” mi risponderà “eguagliare i punti di partenza”, quelle che sono chiamate le pari opportunità. Il problema è che se i punti di partenza sono uguali, ma le persone hanno diverse possibilità di accedere alle risorse iniziali uguali, con l’andare del tempo, le disuguaglianze aumenteranno. Ergo, occorre guardare al punto di arrivo e non solo al punto di partenza.

Insomma è davvero un bel tema quello del rapporto tra uguaglianza ed equità, soprattutto se lo correliamo a quello della malattia che di per sè è già un bel tasto delicato.

Quello che non dobbiamo mai stancarci di chiarire è che qua la posta in gioco non riguarda l'accesso alle cure ed agli esami che, sulla carta, viene dato indistintamente a tutti ma quello della tutela del lavoratore in malattia e della conciliazione malattia/lavoro.
La discriminazione dei lavoratori autonomi, quindi non nasce come problema da portare al Ministero della Salute piuttosto come questione che riguarda il Ministero del Lavoro. Non a caso la Petizione"Diritti ed assistenza per i lavoratori autonomi che si ammalano è indirizzata al Ministro Giuliano Poletti.
Sono le tutele degli autonomi in quanto lavoratori quelle a non avere tutele nella malattia.
In realtà gli autonomi non hanno tutele in genere come lavoratori risultando una categoria praticamente "inesistente". Come sottolinea l'articolo di Maria Vinciguerra, avvocato giuslavorista, "Lo Statuto dei Lavoratori può meglio chiamarsi come lo Statuto dei Lavoratori Subordinati. Lavoratori a progetto, con partita iva, collaboratori coordinati e continuativi sono estranei a questa legge per il semplice motivo che nel 1970 queste tipologie di lavoratori neppure esistevano.  E’ giusta una legge che si applica solo ai lavoratori subordinati, tutelandone la loro libertà e dignità, escludendo tutti gli altri lavoratori? I diritti fondamentali quali il diritto alla salute e sicurezza, alla libertà e dignità del prestatore di lavoro, al giusto compenso, al contratto scritto, al preavviso, alla forma scritta del recesso e dei motivi, al divieto di discriminazione. devono valere per tutti i lavori, senza distinzione tra lavoratore autonomo, parasubordinato e subordinato. Perché è l’art. 35 della Cost. a volerlo (“La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni”)......Un moderno Statuto dei Lavori, riguardando tutte le forme di attività lavorativa, potrebbe prevedere differenti tutele a seconda delle caratteristiche e del contesto in cui si svolge ciascuna tipologia."
 

La prima (ed unica) vera azione politica per i lavoratori autonomi che si ammalano

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Qualcosa comincia a muoversi. Dopo la lettera ai Consiglieri Comunali di Grosseto per invitarli ad interessarsi alla tutela delle partite iva ammalate ed invitare il Ministero del Lavoro ed il Parlamento a fare qualcosa di concreto rispondendo alle richieste espresse dalla Petizione"Diritti ed assistenza per i lavoratori autonomi che si ammalano", il silenzio generale permane ancora ma un consigliere comunale del M5S contatta Afrodite K .......

Da oggi posso finalmente dare uno straccio di risposta alla consueta domanda "ma non si è fatto vivo qualche politico con te per la battaglia che stai portando avanti?" invece di fare scena muta confermando ancora una volta che per le istituzioni e la politica i lavoratori autonomi pare che non esistano.
Da ieri mattina qualcosa inizia concretamente a muoversi.
Il consigliere comunale del M5S, Giacomo Gori, ha contattato Afrodite K invitandola a fornire informazioni utili per la predisposizione di un "ordine del giorno" da presentare alla Giunta Comunale di Grosseto.
Cos'è un ordine del giorno? Beh, si tratta di un atto di indirizzo politico che ha cioè il fine di promuovere un dibattito politico del Consiglio su questioni, anche di carattere generale, per poi fornire alla Giunta o al Sindaco orientamenti su come trattare le questioni stesse. L'OdG viene sottoposto alla votazione del Consiglio e ad esso si possono presentare emendamenti.

Di seguito il testo dell'OdG che è stato depositato mercoledì 30 luglio 2014 da Giacomo Gori al Comune di Grosseto. La città di Afrodite K. La città nella quale tutto ha avuto inizio.
A questo punto cari lavoratori autonomi grossetani, professionisti, consulenti, commercianti, artigiani, agricoltori speriamo che gli altri consiglieri comunali quanto meno co-firmino questo testo e/o in sede di votazione si esprimano favorevolmente in modo che l'OdG possa procedere verso il governo centrale.
Anzi, diciamo che, sapendo qual è la fine di chi vive sperando, direi che forse è il caso di fare pressioni e rompere le scatole attivamente affinchè questo avvenga. Se conoscete personalmente qualche consigliere comunale, datevi una mossa e chiedete espressamente cosa si intende fare rispetto a questo argomento. Fatelo adesso, perchè le malattie quando arrivano, v'assicuro che non hanno alcuna intenzione d'aspettare.
In ogni caso, stay tuned, perchè di certo Afrodite K vi terrà tutti aggiornati.

Ordine del giorno “Diritti e tutela per i lavoratori autonomi colpiti da malattia grave o prolungata”
 

Premesso che:
  • il Parlamento Europeo si è recentemente espresso in materia di scarsa protezione sociale per i lavoratori autonomi attraverso la risoluzione del 14 gennaio 2014 intitolata proprio “Protezione sociale per tutti, compresi i lavoratori autonomi”. Vedi testo completo: http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P7-TA-2014-0014+0+DOC+XML+V0//IT ;
  • un numero crescente di lavoratori autonomi a causa della crisi economica (scarso lavoro o lavoro remunerato a livelli molto bassi), in particolare le donne, si trovano al di sotto della soglia della povertà, ma non figurano ufficialmente come disoccupati;
  • i lavoratori autonomi sono storicamente esclusi dagli ammortizzatori sociali applicati invece ai lavoratori dipendenti (cassa integrazione, mobilità……) ed ai disoccupati (assegno di disoccupazione);
  • rispetto alla tutela in caso di malattia sussiste un evidente discriminazione tra i lavoratori dipendenti (pubblici e privati) e quelli autonomi. I primi, infatti, possiedono tutta una serie di garazie diversificate in caso di malattia (per esempio 180g a stipendio pieno, divieto di licenziamento, possibilità di richiedere part-time, divieto di trasferimento, accesso alla legge 104….), mentre i lavoratori autonomi devono continuare a lavorare per vivere e curarsi poiché l’Inps non prevede l’indennità di malattia (per esempio per commercianti o artigiani) oppure prevede, per gli appartenenti alla gestione separata, garanzie irrisorie come i 61 giorni in 1 anno intero, chiaramente insufficienti in caso di patologie serie o prolungate, con diarie giornaliere molto basse;
  • il finanziamento dei sistemi di protezione sociale, soprattutto in periodi di crisi economica, permette di conciliare gli obiettivi sociali ed economici ed, a lungo termine, contribuisce al mantenimento e allo sviluppo dell'economia, deve essere quindi considerato un investimento e non una spesa.
Visto che:
  • il 10 febbraio 2014 Daniela Fregosi, lavoratrice autonoma che si è ammalata di cancro al seno, appoggiata da ACTA Associazione Consulenti Terziario Avanzato, ha lanciato la Petizione "Diritti ed assistenza ai lavoratori autonomi che si ammalano” che sta per raggiungere le 50.000 firme (https://www.change.org/it/petizioni/presidente-del-consiglio-diritti-ed-assistenza-ai-lavoratori-autonomi-che-si-ammalano);
  • la suddetta petizione è parte di una battaglia che sta riscuotendo forti consensi sociali (e non solo tra gli autonomi visto che anche moltissimi lavoratori dipendenti la stanno firmando) e tra i media;
  • la suddetta petizione chiede al Presidente del Consiglio ed al Ministro del Lavoro azioni fattibili e realizzabili: diritto ad una indennità di malattia che copra l'intero periodo di inattività, il diritto ad un’indennità di malattia a chi abbia versato all’INPS almeno 3 annualità nel corso della sua intera vita lavorativa, un indennizzo relativo alla malattia uguale a quello stabilito per la degenza ospedaliera quando ci si deve sottoporre a terapie invasive (chemio, radio etc), il riconoscimento della copertura pensionistica figurativa per tutto il periodo della malattia, la possibilità di sospendere tutti i pagamenti (INPS, IRPEF), che saranno poi dilazionati e versati a partire dalla piena ripresa lavorativa, la possibilità di escludere i lavoratori autonomi ammalati dagli studi di settore;
  • rispetto alla copertura finanziaria delle precedenti richieste, la cassa Inps della gestione separata risulta in attivo e da una ricerca effettuata da ACTA, i versamenti Inps per prestazioni assistenziali (indennità di malattia, indennità di degenza ospedaliera, indennità di maternità), che dovrebbero essere coperti dallo 0,72% dell’aliquota totale (28,72%), non superano il 50% dimostrando come ci siano ampi margini di migliorabilità nella protezione che i lavoratori autonomi possono avere in caso di malattia grave (fonte dei dati: http://www.actainrete.it/2014/04/linps-lucra-anche-sulle-nostre-prestazioni-assistenziali/)

Impegna il Sindaco e la Giunta Comunale:
  • ad intervenire presso il Parlamento affinché il Ministero del Lavoro riveda la normativa attuale al fine di tutelare maggiormente i lavoratori autonomi colpiti malattia grave o prolungata;
  • ad entrare in contatto con le associazioni di categoria (commercianti, artigiani, professioni ordinistiche….) e trasversali come ACTA per raccogliere ulteriori informazioni e concordare azioni congiunte come per esempio campagne di informazione per i lavoratori autonomi (la maggiorparte dei quali non è a conoscenza neppure di quei minimi diritti a cui hanno accesso oppure non possiedono tutti gli elementi informativi per valutare correttamente il rischio che corrono in caso di malattia grave);
  • ad aprire subito un apposito specifico sportello presso il Comune per informare compiutamente i cittadini, non in grado di assolvere la propria attività lavorativa per grave malattia, sui loro diritti già esistenti;
  • ad identificare modalità concrete di intervento in supporto dei lavoratori autonomi colpiti da grave malattia.

Cancro al seno e zuccheri: missione "glicemia sotto controllo"

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Il 29 luglio 2014 ANSA scrive: "Il glucosio è la benzina del tumore al seno". Beh, si tratta di notizia nota tra le donne operate al seno. Forse una delle poche cose su cui medicina tradizionale e terapie naturali convergono e concordano ampiamente. I tumori si nutrono e crescono con gli zuccheri quindi limitarne l'utilizzo (l'eliminazione è quasi impossibile) aiuta non poco le donne operate al seno a prevenire recidive e nuovi tumori. Afrodite K ha approfondito questo argomento alla ricerca di indicazioni pratiche per la propria alimentazione ed ha trovato interessanti informazioni per gestire l'indice glicemico degli alimenti.


Secondo la notizia Ansamodificando il metabolismo del glucosio si potrebbe aumentare l'efficacia delle cure dirette contro il tumore: a sostenerlo è uno studio condotto da un gruppo di ricerca internazionale coordinato da Maddalena Barba, scienziata della Divisione di ONCOLOGIA Medica B dell'Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma. La ricerca, in pubblicazione sulla rivista scientifica Oncotarget, è il primo tassello di una serie di studi che vogliono portare questa scoperta direttamente a vantaggio dei malati: "Se i dati saranno confermati da studi successivi condotti in pazienti con caratteristiche sovrapponibili - spiega Antonio Giordano, direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine di Philadelphia, che ha lavorato allo studio - è possibile che opportune modifiche dello stile di vita, o la somministrazione di uno o più farmaci diretti contro il metabolismo del glucosio in donne trattate con il farmaco anti-cancro trastuzumab possano tradursi in un aumento dell'efficacia terapeutica e in un incremento della sopravvivenza". "Nell'ambito della nostra linea di ricerca imperniata sul binomio cancro-metabolismo - continua Giordano - abbiamo riscontrato un legame con il ruolo svolto dalla proteina p53, un noto onco-soppressore", ovvero una molecola che ha un ruolo importante nell'ostacolare la crescita delle cellule impazzite nel cancro, che "in condizioni di normalità opera a difesa e garanzia dell'integrità genomica". "In base alle nostre conoscenze - prosegue Barba - l'ipotesi relativa ad un ruolo di p53 nel condizionare l'associazione tra i livelli di glicemia prima del trattamento da un lato, e l'efficacia delle cure dall'altro, non è mai stata formulata né testata in studi clinici precedenti. La caratterizzazione di p53 potrebbe contribuire ad una più dettagliata definizione della popolazione di pazienti che può beneficiare delle cure, e aiutare nell'interpretazione dei risultati ottenuti in seguito ad interventi basati sulla somministrazione del trastuzumab. Inoltre - conclude l'esperta - la definizione di p53 potrebbe guidare decisioni inerenti alla somministrazione farmaci e modulazione dello stile di vita che vadano ad agire sul metabolismo del glucosio".

E' abbastanza noto, il nostro consumo di zucchero è aumentato costantemente a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Esso è passato da 30 kg per persona all'anno nel 1940 a 70 kg alla fine del XX secolo. Oggi sappiamo gli impatti negativi dello zucchero, tra cui l'aumento di peso, la carie e malattie cardiache, ma esso ha un ruolo importante anche nello sviluppo del cancro.
Il biologo tedesco Otto Heinrich Warburg, premio Nobel per la medicina, ha scoperto che il metabolismo dei tumori maligni dipende in gran parte dal loro consumo di glucosio, la forma che assume lo zucchero nel nostro organismo una volta digerito.
Per chi avesse dei dubbi, basta pensare alla PET (Positron Emission Tomography) che è una metodica di diagnostica per immagini, per rilevare il cancro nel corpo,  e misura le regioni dove si consuma più glucosio. Se in una regione vi è un consumo eccessivo di glucosio è probabile che in questo vi sia il cancro.

Diversi i meccanismi ipotizzati che vedono i vari step del metabolismo del glucosio giocare un ruolo nell’insorgenza o nella progressione di malattie cronico-degenerative. In particolare, una dieta ricca di carboidrati ad alto indice glicemico, con conseguente aumento della glicemia e insulinemia, potrebbe aumentare il rischio di cancro attraverso il fattore di crescita dell’insulina (IGF-1). L’insulina può influenzare lo sviluppo del tumore attraverso alterazioni del metabolismo degli ormoni sessuali e aumentando la bioattività dell’IGF-1 (in parte riducendo i livelli della proteina legante IGF-1). Inoltre, l'insulina potrebbe anche aumentare il rischio di tumore attraverso un effetto diretto mitogeno sulle cellule. Si è anche ipotizzato che alti livelli di glucosio possano aumentare il rischio di sviluppare un tumore indipendentemente dall’insulina, sia favorendo la selezione di cloni cellulari maligni sia fungendo da fonte di energia per la crescita delle cellule neoplastiche. L’elevata pre­senza di zuc­chero crea insulino-resistenza nelle cel­lule sane ma non in quelle cance­ro­gene che riman­gono abi­lis­sime a meta­bo­liz­zare lo zuc­chero e quindi a crescere (Fonte)

In una meta-analisi del 2008 su 14 studi non si è osservata una chiara associazione tra una dieta ad alto indice e carico glicemico ed un aumentato rischio di tumore della mammella (Mulholland HG, Murray LJ, Cardwell CR, Cantwell MM. Dietary glycaemic index, glycaemic load and breast cancer risk: a systematic review and meta-analysis. Br J Cancer. 2008;99(7):1170-1175.). In una meta-analisi che include 4 nuovi studi rispetto alla precedente si è osservato un aumentato rischio di sviluppare il tumore della mammella per una dieta ad alto indice glicemico, ma non ad alto carico glicemico (Dong JY, Qin LQ. Dietary glycemic index, glycemic load, and risk of breast cancer: meta-analysis of prospective cohort studies. Breast Cancer Res Treat. 2011;126(2):287-294) suggerendo una maggiore importanza della qualità dei carboidrati rispetto alla quantità. La sezione italiana dello studio EPIC che ha studiato la relazione tra dieta ad elevato carico glicemico e l’insorgenza del tumore della mammella su un campione di 32000 donne (di cui 879 hanno sviluppato un tumore della mammella) supporta invece l’ipotesi che una dieta ad alto carico glicemico sia associata ad un aumento del rischio di cancro della mammella (Sieri S, Pala V, Brighenti Fet al. Dietary glycemic index, glycemic load, and the risk of breast cancer in an Italian prospective cohort study. Am J Clin Nutr. 2007;86(4):1160-1166)

Anche il dott. Franco Berrino (per anni direttore del Dipartimento di Medicina Preventiva e Predittiva dell'Istituto nazionale dei tumori di Milano, ora in pensione) concorda sulla pericolosità dello zucchero soprattutto per i pazienti oncologici. “E' un modo per far sembrare buone delle cose che non sono buone”. Esordisce così il prof. Berrino rispondendo alla prima domanda sullo zucchero, nell'ambito di un'intervista realizzata per La Scuola della Salute, un progetto del 2011 promosso dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, in collaborazione con l'Istituto Nazionale di tumori, che incoraggia tra gli studenti delle scuole secondarie corretti stili di vita, una sana alimentazione, e la lotta al tabagismo giovanile. “L'uomo nella sua storia non ha mai mangiato zucchero” chiarisce il professore, ma oggi lo troviamo dappertutto: nei piselli in scatola, nel pane, nelle fette biscottate ecc”. Questo perché la qualità degli ingredienti di base è pessima. Lo zucchero fa male, soprattutto nella forma liquida: quindi bevande zuccherate, gasate, che sono la principale causa di obesità nei bambini. La sua peculiarità è quella di essere ingerito volentieri anche quando si è sazi. Una colazione molto zuccherata (con brioche o biscotti e latte zuccherato) ha invece l'effetto di produrre un innalzamento della glicemia, che a sua volta provoca una risposta del pancreas che produce molta insulina per abbassare la glicemia. Ma se la colazione è molto dolce, il pancreas produce troppa insulina e si và in ipoglicemia. “Il che vuol dire – spiega il prof. Berrino – che più dolci si mangiano, più vien fame di zucchero ed è questo il motivo per cui molti studenti la mattina sono nervosi, distratti: perché non c'è abbastanza zucchero nel sangue (sono in ipoglicemia) e questo proprio perché hanno mangiato troppo zucchero”.

E' importante quindi essere consapevoli di ciò che mangiamo.
Ma gestire gli zuccheri nell'alimentazione non è così semplice come sembra. Entra in ballo l'indice glicemico degli alimenti che misura la capacità di un determinato glucide di alzare la glicemia dopo il pasto rispetto a uno standard di riferimento che è il glucosio puro. Ecco un'interessante descrizione dell'indice glicemico .
L'indice glicemico di un cibo non è però un concetto assoluto ma relativo. La carota cruda, per esempio ha un indice glicemico di 20, mentre cotta esso sale a 50. Diversi fattori influenzano la risposta glicemica: il tipo di zucchero contenuto negli alimenti (saccarosio, lattosio, fruttosio, glucosio o altri zuccheri), la natura e la forma dell’amido (amilosio o amilopectina), i metodi di preparazione, conservazione e cottura degli alimenti, la presenza di altri nutrienti presenti nell’alimento (ad esempio grassi e proteine), la forma fisica dell’alimento e il contenuto in fibre sia come polisaccaridi non amidacei (cellulose ed emicellulose, pectine, inulina etc.) sia come altre molecole non glucidiche (lignine). Ecco quali sono i fattori che incidono nell'indice glicemico.

La risposta glicemica ad un pasto è influenzata non solo dall’indice glicemico, ma anche dalla quantità di carboidrati in esso contenuto. Da qui l’introduzione del carico glicemico, una misura della quantità di carboidrati pesata per il suo indice glicemico, un modo pratico per predire l'effetto glicemico di una porzione di alimento tenendo in considerazione sia la quantità che la qualità dei carboidrati in esso contenuti (1;2). Il carico glicemico rispetto all’indice glicemico rappresenta una misura più utile per predire la richiesta di insulina necessaria a controllare la risposta glicemica di un pasto.

Per avere un'idea di come gestire la propria alimentazione oncologica per contenere gli zuccheri ecco un'utilissima tabella .

Puoi consultare anche le ricchissime riflessioni dell'igienista Valdo Vaccaro sul rapporto tra zuccheri raffinati e tumore al seno in "Zucchero e carne uguale diabete e cancro". L'approccio è più "estremo" ma ci sono spunti veramente interessanti.

Tra l'altro non dimentichiamoci anche che limitare gli zuccheri è funzionale anche al controllo del peso che per una donna operata al seno è molto importante.

Afrodite K arriva al Ministero del Lavoro e con lei tutti i lavoratori autonomi ammalati

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Oggi è il mio compleanno. Ebbene sì, anche Afrodite K compie gli anni. Un pò speciali per questo 2014: la tetta destra compie 47 anni e la sinistra è invece una cucciola di 1anno. Stanno arrivando un sacco di auguri ma il regalo più bello me lo ha fatto la mia città con il Presidente del Consiglio Comunale Paolo Lecci che, stimolato dall'OdG depositato dal M5S, senza tanti giri di parole ha fatto partire subito in mia presenza una bella telefonata al Ministero del Lavoro. E finalmente adesso la porta sta cominciando concretamente ad aprirsi.....

Chiaramente la questione della mancanza di diritti e tutele per i lavoratori autonomi che si ammalano non ha connotazioni locali bensì è collegata ad un'emergenza sociale generale di tipo nazionale e questo il Presidente del Consiglio Comunale di Grosseto l'ha capito immediatamente. Così come ha compreso che il riferimento Istituzionale è proprio quel Ministro del Lavoro a cui è indirizzata la Petizione prossima ormai alle 50.000 firme raccolte.
Per questo stamani, dopo una chiacchierata introduttiva, Paolo Lecci, senza perdere ulteriore tempo, ha chiamato direttamente la Segreteria del Ministero del Lavoro per attivare Gianni Poletti. Anche Afrodite K, lì presente, ha potuto far sentire la sua voce alla segreteria e segnalare l'urgenza di occuparsi di questo tema.
A questo punto è partita una mail formale nella quale Afrodite K ha riassunto i termini della questione, una di quelle mail che corre meno il rischio di disperdersi nei meandri del Ministero, visto che la strada è stata spianata e si comincia a fare concrete pressioni partendo dalle stesse istituzioni.
Un grazie gigante al Consigliere Comunale Giacomo Gori per il suo OdG ed al Presidente del Consiglio Comunale grossetano Paolo Lecci per il suo interesse, disponibilità, sensibilità ma soprattutto.....per la sua solerte concretezza!! Perchè si sa, parole e sensibilità non bastano per migliorare le cose e farle cambiare.
Incrociamo quindi le dita, stiamo connessi e rimaniamo pronti a proseguire con le pressioni se la cosa si dovesse impantanare da qualche parte.
E io stasera festeggio con le mie tette asimmetriche!!

Mastectomia preventiva, cultura del fiocco rosa e scelta delle donne

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Recentemente Afrodite K ha letto un interessante articolo apparso sul sito dell'associazione Breast Cancer Action, una voce alternativa nata per informare in modo completo le donne e sottolineare alcune contraddizioni di istituzioni e associazioni sul tema del tumore al seno. L'articolo offre una visione a 360 gradi sulle scelte delle donne in merito alla mastectomia ed alla mastectomia preventiva, i fattori che le influenzano ed il peso della cultura del "fiocco rosa" nelle loro decisioni finali. Per me è stato molto utile, spero che possa portare un pò di chiarore nel tunnel buio delle nostre delicatissime scelte.

Sulla Mastectomia, la cultura del fiocco rosa e le scelte delle donne
Libera traduzione da  On mastectomies, Pink Ribbon Culture and women's choices

La decisione di rimuovere chirurgicamente il seno sia per gestire un cancro che per prevenirlo non può mai essere presa alla leggera. Inoltre, nella nostra cultura ossessionata dal seno, per molte donne questa decisione medica è ulteriormente complicata dalle pressioni sociali e dalle norme culturali.
Fortunatamente, i giorni ddella mastectomia radicale di Halstead sono dietro di noi. Le donne non vanno più in ambulatorio per sapere se hanno il cancro al seno per poi svegliarsi con tutto il seno rimosso, compreso il muscolo e in casi estremi le costole. Le donne hanno altre possibilità tra cui la tecnica nipple-sparing (che preserva pelle e capezzolo) o la quadrantectomia. Cosa decidono le donne rispetto alla mastectomia e perchè, è comunque complicato e sempre molto personale.
Come movimento "cane da guardia" sul tema del cancro al seno, parte del nostro lavoro è concentrato a garantire che le donne abbiano accesso a tutte le informazioni imparziali basate su fatti che le possano aiutare a prendere le proprie decisioni. Come organizzazione femminista rispettiamo le diverse esperienze e le scelte delle donne, anche quando queste scelte possono essere controverse o impopolari. Alcune donne scelgono lo standard di cura, mentre altre possono optare per diversi tipi di trattamento.
L'anno scorso, Peggy Orenstein ha scosso il pensiero convenzionale sul cancro al seno con il suo pezzo diffusissimo "La nostra guerra al Feel-Good sul cancro al seno", che critica la cultura del nastro rosa e l'enfasi eccessiva sullo screening mammografico. Lo scorso fine settimana, Orenstein ha pubblicato un articolo di opinione sul New York Times intitolato "L'approccio sbagliato al cancro al seno", che ha di nuovo scatenato polemiche. Alla Orenstein è stato diagnosticato un cancro al seno due volte e recentemente ha affrontato la questione se rimuovere o meno il proprio seno sano quando si è sottoposti a mastectomia per il seno colpito. Nel suo pezzo, la Orenstein si chiede perché così tante donne a rischio medio di cancro al seno scelgono la mastectomia profilattica controlaterale (CPM), nonostante l'evidenza che questo non riduce le loro probabilità di morire di cancro al seno. la Orenstein scrive: "dopo un trend pluridecennale verso la chirurgia meno invasiva, l'interesse delle pazienti a rimuovere il seno sano attraverso una procedura chiamata mastectomia profilattica controlaterale è alle stelle, e non solo tra le donne come me già operate".
La Orenstein riconosce che ci sono molte ragioni per cui le donne possono scegliere la CPM. Non solo la speranza che ridurrà le probabilità di morte, ma anche il desiderio di essere fisicamente "simmetrica". Non vi è prova evidente che, tranne in alcuni rari casi in cui il rischio di cancro al seno è molto alto, un intervento chirurgico per rimuovere un seno sano possa ridurre il rischio di morte per le donne. Ad esempio, Angelina Jolie ha recentemente portato all'attenzione nazionale la situazione delle donne con mutazioni BRCA, per i quali la mastectomia profilattica (nel tentativo di ridurre il rischio di sviluppare il cancro) può salvare la vita. Ma questa situazione non è altrettanto evidente per la maggior parte donne, comprese le donne a cui è stato diagnosticato il cancro nella fase iniziale.
All'inizio di questo mese, i ricercatori dell'Università del Minnesota hanno pubblicato sul Journal of National Cancer Institute lo studio più completo ad oggi per valutare il beneficio sulla sopravvivenza della CPM. I ricercatori hanno notato il notevole aumento dei tassi di CPM e ci si chiede se ci può essere "la percezione di un vantaggio esagerato di questa prassi" da parte delle pazienti. Il cancro al seno diventa fatale quando si diffonde in tutto il corpo, quando metastatizza, ma la rimozione di un seno sano non riduce la possibilità che il tumore originale si diffonda in tutto il corpo. Anche quando i ricercatori hanno "ottimizzato i numeri, quasi raddoppiando il rischio di contrarre un secondo tumore ed esagerando l'aggressività di un nuovo tumore e l'efficacia del CPM", emergeva solo un 1% in meno di probabilità di morire di cancro al seno dopo aver rimosso anche il seno sano.
La domanda che la Orenstein pone è perché così tante donne che sono a rischio relativamente basso di morire di cancro al seno scelgano di rimuovere un seno sano "solo per essere sicure" nonostante l'evidenza che in realtà non saranno "sicure" sia con che senza la CPM. 
Quando abbiamo pubblicato l'articolo della Orenstein sulla pagina Facebook di Breast Cancer Action, le risposte delle donne sono arrivate rapidamente e la discussione aveva toni emotivamente "carichi". Le discussioni sullo screening per il cancro al seno e le scelte terapeutiche sono sempre comprensibilmente coinvolgenti, stiamo parlando di vita e di morte, e le decisioni mediche sono incredibilmente soggettive. Come organizzazione femminista delle donne, ci rendiamo conto che diverse persone fanno differenti scelte e noi rispettiamo il fatto che la scelta "giusta" per una persona non lo sia per un'altra. Le donne non dovrebbero mai essere giudicate, confuse, sminuite per le loro decisioni sulla propria salute.
Riconosciamo anche che queste scelte vengono modellate e vincolate dalle opzioni presenti del mondo reale. Spesso, inoltre, le donne con diagnosi di cancro al seno sentono che in realtà stanno scegliendo tra opzioni ugualmente terribili. Ogni donna merita l'accesso alle informazioni basate su evidenze per prendere le proprie decisioni al meglio.
Come Breast Cancer Action, abbiamo evidenziato che le scelte delle donne sul cancro al seno sono limitate, costrette, influenzate e rifiutate. Abbiamo lavorato per fornire equilibrio e alternative alle loro scelte. Facciamo questo non per dire alle donne cosa devono fare, ma per garantire che le donne siano in grado di esplorare l'intera gamma delle loro scelte proprio perchè stanno valutando decisioni mediche che cambiano la vita. Il consenso informato deve includere la comprensione di tutti i potenziali rischi e benefici di una particolare procedura o trattamento.
Quando si parla della CPM, oltre alla mancanza di una maggiore possibilità di sopravvivenza, ci sono i rischi dell'intervento chirurgico stesso da considerare. Come sottolinea la Orenstein: "I seni non solo qualcosa di esterno come i coperchi di un contenitore: si possono verificare infezioni, gli impianti possono rompersi come la pelle lacerarsi, il tessuto trasferito da altre parti del corpo può fallire. Anche se tutto va bene, un seno ricostruito ha scarsa sensibilità"
Qualsiasi intervento chirurgico in più può comportare rischi e complicazioni. In una mastectomia non ci sono solo i rischi connessi all'anestesia totale (che sono maggiori per le persone in cattive condizioni di salute), ma  anche rischi di infezioni, necrosi fino ai comuni sieromi. Se le donne scelgono di ricostruire il seno, ci sono rischi e complicazioni supplementari. Il 46% delle donne con protesi in gel di silicone e il 21% con protesi saline è sottoposto ad almeno un nuovo intervento entro tre anni.
Molte donne, compresa la Orenstein, credono che ci siano altri motivi connessi alla scelta della CPM oltre alla speranza che l'intervento le aiuterà a sopravvivere al cancro al seno. Alcune donne preferiscono avere entrambi i seni rimossi per il desiderio di simmetria o per i dolori alla schiena ed al collo che comporta la rimozione di un solo seno. Come una donna sulla nostra pagina di Facebook ha ammesso, "se non si sceglie la ricostruzione diventiamo come un cammello con una gobba sola"
Nessuna di queste scelte avviene in modo esclusivamente personale ed isolato dal contesto di riferimento. Le campagne di sensibilizzazione del Fiocco Rosa realizzate tutto l'anno e le strategie di marketing favoriscono  un dilagante allarmismo e false promesse. Si tratta di un effetto collaterale negativo del movimento di consapevolezza e prevenzione del cancro al seno che ha portato molte donne e ragazze a temere per i loro seni, visualizzandoli come messaggeri di malattia quasi che da loro provenisse una sorta di ticchettio come nelle bombe ad orologeria. Combinate tutto questo con la paura di una vita vissuta nell'insicurezza, con l'odio per il proprio corpo è la strada più breve arrivare alla percezione che i seni finti sono meglio dei seni reali.
Gli esseri umani notoriamente mal interiorizzano le statistiche e le implicazioni della ricerca nelle loro vite individuali e nel loro processo decisionale. Per questo si può arrivare ad una sovrastima del rischio e ad un falso senso di sicurezza in alcuni casi. 
Per quanto riguarda il cancro al seno, è una bizzarra verità che molte donne negli Stati Uniti sopravvalutano il rischio di questa malattia a causa della pervasività del movimento di consapevolezza e prevenzione riguardante il cancro al seno. Le donne sui 40 anni, per esempio, stimano che il loro rischio di cancro al seno nel successivo decennio è 20 volte superiore alla effettiva probabilità. E le donne che hanno il cancro in un seno sopravvalutano il rischio di cancro nell'altro seno fino a sei volte. Il risultato di questa cultura della paura del cancro al seno può portare le donne a fare qualsiasi cosa per curare il cancro al seno. In questa cultura della paura, "la serenità della mente" per le donne (ed i loro medici) diventa l'obiettivo fondamentale, anche se tranquillità e sicurezza di una mastectomia preventiva non sono sostenute da prove solide.
Il cancro ci terrorizza per ottime ragioni. Una donna su tre si ammala di cancro a un certo punto della propria vita ed una su otto si ammala di cancro al seno. Il carcinoma della mammella è la seconda causa di morte per cancro per le donne americane, dopo il cancro del polmone. Qualsiasi donna di fronte a una diagnosi di cancro al seno innesca una complessa serie di paure che porta all'esigenza di avere accesso alle informazioni basate su delle prove per arrivare alle decisioni terapeutiche difficili che deve affrontare.
Non esiste una sola risposta giusta per tutte le donne, ma ognuna di noi deve fare la scelta che è meglio per se stessa nella propria situazione di vita. Occorre bilanciare la paura con i fatti, e per farlo, abbiamo bisogno di una buona informazione come gli studi ai quali accenna la Orenstein. Dopo di che rimane il fatto che ogni donna sta facendo del suo meglio in circostanze che per definizione rimangono comunque difficili.

Il diritto naturale viene prima della ragione di Stato: quando la resistenza fiscale è legittima

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Un'antica parabola cinese risalente al XIV secolo che racconta di un vecchio ammaestratore di scimmie è collegata ad un intervento che Oscar Giannino fece alla fine del 2011. Come? Beh...., un tumore può creare collegamenti strani o forse il concetto di "diritto naturale"è, mai quanto oggi, così impunemente calpestato che sente l'esigenza di riemergere prepotente su tutto perchè quando si passa sopra ad esso, siamo davvero alla frutta.

Nel feudo di Chu, un vecchio si guadagnava da vivere ammaestrando scimmie. La gente del posto lo chiamava «Ju Gong» (signore delle scimmie). Ogni mattina, il vecchio radunava le scimmie nel suo cortile, e ordinava alla più anziana di condurre le altre sulle montagne per raccogliere frutta da cespugli e alberi. Ogni scimmia doveva consegnare un decimo del raccolto al vecchio, questa era la regola. Quelle che non la rispettavano, venivano frustate senza pietà. Tutte le scimmie pativano gravi sofferenze, ma non osavano lamentarsi. Un giorno, una scimmietta chiese alle compagne: «È stato il vecchio a piantare gli alberi da frutta e i cespugli?». Le altre risposero: «No, sono cresciuti spontaneamente». Allora la scimmietta domandò: «Non possiamo raccogliere i frutti senza il permesso del vecchio?». E le altre: «Certo che sì». La scimmietta proseguì: «Allora perché dobbiamo dipendere da lui, perché dobbiamo servirlo?». Prima che la scimmietta potesse finire la frase, tutte le altre scimmie all’improvviso ebbero un’illuminazione. Quella notte stessa, mentre il vecchio dormiva, le scimmie abbatterono il recinto in cui erano segregate, presero i frutti che il vecchio aveva in magazzino, li portarono nella foresta e non fecero più ritorno. Alla fine, il vecchio morì di fame. 
Da "Governare con l'inganno" di Yu Li Zi (1311-1375)

Il diritto naturale delle scimmiette di nutrirsi mi ha ricordato un discorso che aveva fatto Oscar Giannino ospite all'incontro "Rivolta Fiscale - Storia di una battaglia contro lo Stato Predatore" organizzato dall'associazione culturale e studentesca “Studenti Bocconiani Liberali – Milton Friedman Society” a dicembre 2011. Cosa dice? Beh, parla proprio del "diritto naturale" che viene prima della ragione dello Stato (video parte 1, video parte 2).

Prima di prendere la delicatissima decisione di entrare in disobbedienza fiscale, ho riflettuto davvero tanto e mi sono posta una serie di domande tra le quali anche il significato del termine "diritto naturale".

"Il diritto di natura, che gli scrittori chiamano comunemente jus naturale, è la libertà che ciascuno ha di usare il proprio potere a suo arbitrio per la conservazione della sua natura, cioè della sua vita e conseguentemente di fare qualsiasi cosa che, secondo il suo giudizio e la sua ragione, egli concepisca come il mezzo più idoneo a questo fine" (Thomas Hobbes, Leviatano 1651)
La più antica classificazione del diritto ( e forse anche la più densa di profili critici) è quella che da sempre vede contrapposti diritto naturale e diritto positivo.
Per diritto naturale si intende quell’insieme di precetti, di norme, che, per usare un’espressione particolare, “sta scritto nel cuore degli uomini”; uno statuto giuridico, cioè, che, a prescindere dalla sua formulazione espressa nell’ordinamento, la collettività dei consociati sente indubitabilmente proprio. Storicamente il diritto alla vita, alla libertà ed alla proprietà rappresentano il nucleo minimo del diritto naturale, unitamente al diritto al nome, all’identità personale e alla famiglia. Di contro, il diritto positivo consiste nell’insieme delle norme “vigenti”, di quei precetti, cioè, che in un dato momento storico rappresentano l’ordinamento giuridico di uno Stato. Se da un lato, dunque, la fonte del diritto positivo è l’Autorità del Potere Pubblico (lo Stato), il diritto naturale trova la sua legittimazione in una serie di concezioni filosofiche e politiche che precedono la fondazione stessa dello Stato. Per questa ragione il diritto naturale è canone valutativo del diritto positivo, della sua giustezza, della sua equità ed, infine, della sua “ legittimità”. Nello moderno Stato democratico il diritto positivo è espressione, sebbene indiretta, della volontà della maggioranza che non sempre, tuttavia è conforme ai canoni del diritto naturale o della giustizia comunque intesa. Il rapporto dialettico fra diritto naturale e diritto positivo è stato sempre presente nella storia del diritto almeno tendenzialmente il diritto naturale è immutabile, quanto alle sue affermazioni di principio (diritto alla vita, al nome, alla famiglia), ma i principi stessi pur se immutabili, possono riempirsi e specificarsi a seconda delle epoche storiche. Si tratterebbe, cioè, di un “sistema chiuso” di principi talmente fecondo, tuttavia, e ricco di potenzialità da consentire agli interpreti ( i giuristi ) di ricavare da esso “ corollari” sempre nuovi in grado di adattare il diritto naturale alle nuove esigenze della società. Secondo la dottrina giusnaturalistica il diritto positivo non si adegua mai completamente alla legge naturale, perché esso contiene elementi variabili e accidentali, mutevoli in ogni luogo e in ogni tempo: i diritti positivi sono realizzazioni imperfette e approssimative della norma naturale e perfetta.

E quindi?
Beh, ritengo che nel caso di un lavoratore autonomo che si ammala gravemente il suo diritto naturale a curarsi, occuparsi di sè, coltivare la sua serenità psicologica e materiale debba avere la priorità rispetto alle leggi attuali che regolamentano, ingiustamente, la tutela della malattia per questa categoria di lavoratori.


Il mio gomasio con i semi di sesamo: ecco come si prepara

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L'alimentazione ormai non rappresenta solo il modo con cui mi prendo cura di me dopo la diagnosi di tumore ma anche un vero e proprio stile di vita. Mi diverto come una bimba (e l'umore è importantissimo per gestire un cancro) a sperimentare nuovi cibi soprattutto attraverso l'autoproduzione. E' toccato anche ai sistemi di salatura. Quello che vedete è il mio gomasio fatto fresco fresco (il divertimento nel farlo e la goduria nel consumarlo, quelle non si vedono nella foto) dedicato a tutti quelli che pensano quanto sia frustrante, triste e limitante alimentarsi in modo diverso....

In genere ho sempre salato molto poco ed utilizzando un sale alle erbe che compravo nei negozi bio. Conoscendo già i semi di sesamo (che in genere utilizzo quando mi autoproduco delle piadine senza lievito da usare come pane) ho voluto sperimentare il gomasio che si può fare impiegandoli come ingrediente principale.

Intanto cominciamo col dire che i semi di sesamo di per sè hanno un sacco di proprietà. Derivano da una pianta orginaria dell'India e dell'Africa. rappresentano una delle principali fonti vegetali di calcio (ma contengono anche fosforo, magnesio, ferro, manganese, zinco e selenio e proteine). Sono inoltre ricchi di acidi oleici, che contribuiscono a ridurre i livelli di colesterolo LDL nel sangue e ad incrementare la presenza di colesterolo "buono" HDL. Tra le vitamine del gruppo B, contengono niacina, nella quantità di circa 4,5 mg ogni 100 grammi, il 28% del fabbisogno quotidiano.
Ai semi di sesamo sono state attribuite proprietà antiossidanti e anticancro. Essi inibirebbero lo sviluppo del cancro al colon, per via del loro contenuto di acido fitico. Il loro contenuto di lignani permette il controllo della pressione sanguigna, con effetti anti-ipertensivi. Il consumo di semi di sesamo può contribuire a prevenire la formazione di placche sulle pareti delle arterie.
L'assunzione di semi di sesamo è benefica per le ossa, migliora le funzioni del fegato, è efficace nella rimozione dei vermi intestinali, riduce i reumatismi e i dolori articolari, stimola la circolazione e contribuisce a migliorare la digestione.

Ok, fanno bene.....ma sono anche buonissimi!!! Li potete infilare un pò dovunque: muesli, pane, zuppe, insalate, panature.
Ma soprattutto potete farci il gomasio (molto utilizzato nella cucina macrobiotica e nella cucina giapponese) per salare ed insaporire un pò di tutto.
Lo trovate anche già pronto da acquistare ma in effetti non ha molto senso comprarlo visto che è facilissimo autoprodurlo da sè.
Data la facilità di produzione consiglio di non farne grandi quantità da conservare ma produrlo via via che serve.
Io utilizzo 1 cucchiaino abbondante di sale marino integrale insieme a minimo 7 cucchiaini abbondanti (ma anche più) di semi di sesamo.
Il sesamo prima va tostato leggermente in forno o in padella a fuoco lento (stando attenti a non esagerare toglielo appena si sente quel tipico odore di pop corn e qualche semino inizia a scoppiare) miscelarlo insieme al sale (anch’esso leggermente tostato per togliere l’umidità) e infine triturare il tutto (io uso il macinino da caffè, se lo avete è meglio il pestello)
Una volta pronto, il gomasio fatto in casa può essere conservato in frigorifero in un barattolo di vetro per un settimana circa.
Questo semplicissimo condimento a base di goma (sesamo) e shio (sale) può essere utilizzato a crudo per condire insalate e verdura ma anche riso, pasta o altro. Il sapore è ottimo, occhio però a non esagerare perchè i semi di sesamo sono abbastanza calorici.
PS: Io utilizzo una variante aggiungendo al gomasio anche i fiocchi di alga Nori.


Partita Iva con tumore? per te il sussidio di disoccupazione non c'è

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Ne avevo sentito parlare ma senza approfondire più di tanto. Sono libera professionista con partita iva da 22 anni, ho sempre fatto la consulente e quella roba lì sapevo che non mi riguardava quindi non aveva senso capire meglio cos'era e come funzionava. Cosa? L'ASPI (Assicurazione Sociale Per l'Impiego) o ex indennità di disoccupazione, quella fantastica cosa che se lavori un tot all'anno e versi un tot di contributi hai diritto ad una (abbondante, per non fare nulla) copertura per il resto dei mesi di disoccupazione. Fico, eh?. Sì certo, ma non per i lavoratori autonomi che possono pure beccarsi un tumore ma tutele come queste se le sognano.
Quando mi sono ammalata di cancro al seno, dovendo interrompere la mia attività lavorativa per mesi e mesi, casualmente ho cominciato a conoscere persone che  prendevano l'Aspi come operai o lavoratori stagionali nel settore turistico. Mi hanno spiegato un pò come funzionava (per approfondire ecco l'apposita pagina Inps sull'Aspi) e mentre me lo illustravano abbassavano gli occhi, poverini. Perchè? Beh, non deve essere facile raccontare che l'Italia è un paese dove bastano 12 mesi di versamenti in 2 anni per poter avere, il 75% di stipendio senza fare nulla. Come fare? Basta essere stati dipendenti per un pò, stato che ti dà diritto all'aureola di santità per il resto della vita mentre dal primo giorno di apertura di una partita iva si diventa una merda che si arricchisce ed evade divertendosi pure. Difficile, davvero molto difficile spiegare tutto questo ad una persona che lavora da 22 anni (pensa un pò quanti contributi e tasse ha già pagato) e che, nonostante un cancro, rimane senza tutele ed ammortizzatori praticamente fin dall'inizio della malattia. Difficile raccontare come si prendano accordi con il datore di lavoro per fare magari quelle settimane in più che danno poi diritto a mesi e mesi di disoccupazione, pagando al datore quei contributi che lui dovrà versare così ti dà una mano e lui non ci rimette.
Difficile sì, ma con Afrodite K possibile. Perchè la strada non è la guerra tra poveri, non è togliere diritti fondamentali ad alcuni per darli ad altri. La soluzione non è questa ed Afrodite K lo ha sempre sostenuto forte e chiaro sia attraverso un post che nella campagna video. Ecco perchè quelle persone con me non hanno dovuto tenerli bassi gli occhi per molto. Che colpe ha il singolo beneficiario? Chi può perchè non deve sfruttare questa opportunità? La questione è a monte. La domanda di fondo è perchè si debba discriminare le persone per il tipo di lavoro che fanno?
Un cancro non rientra tra gli eventi involontari come perdere un lavoro (motivazione che da accesso all'aspi)? forse no, forse per gli autonomi i tumori arrivano come punizione divina.
Se sono un dipendente i periodi di non lavoro sono chiamati disoccupazione e scattano gli ammortizzatori.
Se sono un lavoratore autonomo ed il mio "non lavoro" dipende da un cancro, ripeto da un cancro (chiaro il concetto?), allora, siccome sono un maledetto da Dio e dagli uomini, un non-lavoratore, sono cazzi miei.
Non fa una piega, giusto?
E invece no, c'è proprio qualcosa che non torna.
Ma perchè un lavoratore stagionale del turismo, per esempio, che per definizione sa già che farà una stagione "a tempo" viene considerato un lavoratore licenziato involontariamente quando la finisce e un professionista che lavora a progetto, nei periodi di non lavoro è uno che sta gestendo il rischio imprenditoriale. Ma allora se sono uno che nuota nel rischio imprenditoriale e son cazzi miei, mi spieghi perchè mi fai pagare l'Inps obbligatoria? La mia sopravvivenza non era un fatto personale?. Ma certo, scusate, ecco come funziona. Quando devi pagare sei un lavoratore e valgono le stesse regole, quando devi ricevere sei un imprenditore ricco, con la presunzione dell'evasione fiscale appiccicata addosso e soprattutto son cavoli tuoi, è un tuo problema personale. Cancro compreso. C'est la vie! La vita è così, capitano anche i tumori, che vuoi farci. Pacchetta sulla spalla, forza e coraggio, anche questo passerà.
Ma tranquillo, dai, tra un pò ci sarà la Naspi il nuovo sussidio di disoccupazione da cui resteranno fuori almeno 2 milioni di disoccupati, le altre forme di lavoro precario e intermittente, i lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata dell'Inps: 1,8 milioni di persone.
Brutte merdacce, che ci speravate per caso?

Nastri Rosa e cancro al seno: forse è il momento di sostituire i simboli fuorvianti

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Non manca molto al fatidico mese di ottobre, l'"Ottobre Rosa", il mese della prevenzione del cancro al seno. Per questo anno Afrodite K ha deciso di impegnarsi fortemente nel divulgare "altre voci" riguardo a questo argomento, alle contraddizioni pesanti che stanno dietro ad un problema così diffuso (1 donna su 8 si ammala di cancro al seno ricordiamocelo). Perchè? Beh, adesso ne ha un'esperienza diretta sulla propria pelle, perchè dal 2013 studia, si informa, raccoglie elementi di riflessione provenienti anche dall'estero, perchè è giusto che le donne siano consapevoli a 360 gradi dell'utilizzo che viene fatto della propria malattia. Ecco quindi un bellissimo articolo tradotto dall'america (in Italia purtroppo in quanto a pensiero critico su questo tema siamo indietro anni luce e dormiamo di un sonno profondo, donne comprese).

Queste riflessioni sono tratte e tradotte dal Blog "Healthy Barbs" di Barbara Brenner (ex direttore esecutivo dell'associazione americana Breast Cancer Action morta nel 2013 per complicazioni dovute alla SLA).

Le persone che mi hanno conosciuto sanno che io non sono mai stata una fan dei nastri rosa come simbolo per il cancro al seno. Mi danno la stessa sensazione del giocatore di baseball Lou Gehrig come simbolo per la SLA. E’ tempo di lasciar andare i simboli che sono diventati inutili, o, peggio, fuorvianti.

Una breve storia del Fiocco Rosa (Pink Ribbon) simbolo del cancro al seno
Il primo simbolo del cancro al seno non era rosa ma color pesca. E’ stato creato da una donna di nome Charlotte Haley, che aveva vissuto la lotta della sua famiglia con il cancro al seno (madre, sorella e nonna avevano avuto il cancro al seno). Agli inizi degli anni '90, Charlotte aveva confezionato dei nastrini rosa pesca che distribuiva gratuitamente. Il set composto da 5 nastri rosa conteneva una cartolina con su scritto "Il bilancio annuale del National Cancer Institute è di 1,8 milioni di dollari, solo il 5% e` destinato alla prevenzione. Indossiamo questo nastro perchè i nostri legislatori e l'America si sveglino". Estée Lauder, l'azienda di cosmetici, e Self Magazine compresero rapidamente le possibilità di lucro sul nastro. Si avvicinarono a Charlotte, sostenendo che avevano a cuore le donne e che volevano far diventare il nastro il simbolo internazionale del cancro al seno. Charlotte pensò che erano più interessati al business che alla vita delle donne e si rifiutò di collaborare con loro. Le società furono informate dai loro avvocati che avrebbero potuto usare il nastro, bastava trovare un altro colore. Così le aziende realizzarono focus group con le donne per identificare il colore che era per loro più rassicurante, non minaccioso e confortante. Il colore che si avvicinò con era rosa. La Fondazione Komen ha cercato di creare un vero e proprio marchio con il nastro rosa ma non c’è riuscita. Adesso cani e porci possono usare questo simbolo diventato uno strumento di molte aziende che cercano di migliorare le loro vendite collegando i loro prodotti alla causa del cancro al seno. Alcune aziende e persone semplicemente vendono nastri od oggetti composti dai nastrini rosa (fatti di qualsiasi materiale, dalla stoffa al ai diamanti) fatturandoci sopra. Altri li usano per promuovere le vendite di altri prodotti dalla carta igienica, alle auto). A volte i nastri sono posti su prodotti che fanno male alla stessa salute delle donne (prodotti cosmetici tossici per esempio). Per ulteriori informazioni sullo sfruttamento del nastro rosa vedi Think Before You Pink

Che cosa coprono i Nastri Rosa?
Miliardi di dollari sono stati raccolti in nome della ricerca sul cancro al seno. Non sappiamo quanto di quel denaro in realtà va alla ricerca. Non sappiamo che tipo di ricerche sono finanziate con quei soldi. I finanziatori della ricerca spesso non riferiscono se la ricerca ha migliorato davvero la vita delle donne. Quello che sappiamo è che l'epidemia infuria, l'incidenza del cancro al seno continua ad aumentare. Quando si chiede alla maggior parte delle persone cosa sanno sul cancro al seno, molte hanno in mente l'importanza delle mammografie. Ma c'è molto di più. Per citare solo un paio di cose che i nastri rosa non rappresentano: i limiti della diagnosi precoce, l'inefficacia degli attuali trattamenti per la sopravvivenza delle donne con carcinoma mammario metastatico, i fattori ambientali della malattia (solo il 10% del seno il cancro è causata da una mutazione genetica ereditaria), le ingiustizie razziali rispetto al tasso di incidenza e mortalità per cancro al seno. Molti di questi problemi sono descritti nel nuovo documentario del National Film Board of Canada, “Pink Ribbons, Inc.”, dal regista Léa Pool e produttore Ravida Din (ecco il video del trailer con sottotitoli in italiano). Il film è stato ispirato da un libro dallo stesso titolo scritto da Samantha King. Se vogliamo concentrarci su cosa fare per porre fine al flagello del cancro al seno, abbiamo bisogno di trovare un nuovo simbolo, quello che in realtà veicola l'impatto della malattia sulla vita delle donne e che non si presta così facilmente a sfruttamento economico od a coprire la realtà concreta del cancro al seno. Forse se mettiamo insieme le nostre teste possiamo arrivare ad un nuovo simbolo.

Lou Gehrig: che riposi in pace?
Lou Gehrig è morto di SLA nel 1941 all'età di 37 anni. Molte persone che non hanno mai sentito parlare di SLA hanno sentito parlare della malattia di Lou Gehrig, il nome "popolare" per questa devastante malattia. Ormai, sempre più persone probabilmente conoscono Gehrig più per la sua malattia che per la sua abilità nel baseball . Gehrig è morto più di 70 anni fa. Da quando è morto, molte più persone, alcune delle quali abbastanza note, sono morti di SLA. Eppure, in quasi ogni storia di SLA, appare il nome di Gehrig, spesso con una foto del giocatore in piedi con una mazza da baseball in mano. Non sembra male senza le devastazioni fisiche della SLA.  C'è da meravigliarsi che il pubblico non capisce cosa è SLA quando il simbolo che vedono è così lontano alla realtà della malattia? Non sarebbe un simbolo migliore trasmettere le circostanze di vita reale delle persone con SLA? Il fatto che sia più facile raccontare "Lou Gehrig" che la sclerosi laterale amiotrofica, questo non vuol dire che Lou Gehrig è un buon simbolo per la malattia di oggi. 

Fonte dell'articolo


Se ti interessa questo argomento leggi i seguenti articoli:

“Se il cancro al seno diventa un business…” di Susanna Curci su Altri
Della donna con cancro e del dovere decorativo
Pink Ribbons Inc. dell'Amazzone Furiosa
Oltre il rosa: la storia di Laura

Uno studio sulle donne che, dopo la mastectomia, non vogliono la ricostruzione del seno

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La ricostruzione del seno dopo una mastectomia è una scelta davvero "forte" per una donna ed ha implicazioni, dinamiche, conseguenze molto più ampie di quello che si crede osservando tutto dall'esterno. Di tutti i tipi: fisiche, mediche, psicologiche, relazionali, estetiche, culturali, di coppia..... Ecco perchè Afrodite K ritiene essenziale che le donne abbiano informazioni ricche, veritiere, realistiche e trasparenti e spesso purtroppo questo non succede. Questo articolo molto recente che mi è stato segnalato da una donna operata al seno che in Italia sta davvero facendo molto per divulgare informazioni e riflessioni "non banali" sul tema del cancro al seno, è per tutte noi (ma anche per gli altri) un ottimo spunto di riflessione.


L'articolo che ho tradotto è apparso su HealthDay News ad agosto 2014 ed è scritto da Kathleen Doheny, una giornalista di Los Angeles specializzata nella salute.

La ricostruzione del seno dopo una mastectomia è stata per lungo tempo "la scelta", ma un nuovo studio mostra che solo circa il 42% delle donne decidono di farla.
"Le ragioni per le quali la maggior parte delle donne non ha scelto subito la ricostruzione sono che  sentivano la questione poco importante, non erano interessate ad ulteriori interventi chirurgici o erano concentrate sulle terapie da fare". Ecco cosa dice la ricercatrice dott.ssa Monica Morrow, capo della chirurgia senologica presso il Memorial Sloan Kettering Cancer Center, a New York City. Inoltre comune è la paura delle protesi mammarie utilizzate per la ricostruzione (il 36% delle donne la cita come motivazione per il rifiuto della ricostruzione).
Qualunque sia la loro decisione, tuttavia, quasi l'87% ha dichiarato di essere soddisfata della propria decisione dopo quattro anni.
Lo studio è stato pubblicato on-line il 20 agosto 2014 sulla rivista JAMA Surgery.

"Parte del motivo per cui abbiamo fatto questo studio è che c'era molto dibattito sul fatto che il tasso di ricostruzione del seno era troppo basso", sostiene la Morrow. Alcuni esperti ritengono che le opzioni non sono spiegate bene alle donne, o che le donne non le comprendono bene.
L'obiettivo dello studio, ha detto la Morrow, è stato quello di esaminare come le donne arrivano alla scelta della ricostruzione, perché alcune la rifiutano e se sono poi soddisfatte nel tempo rispetto alla loro decisione.
Dopo aver esaminato i dati forniti dal governo, alle 485 donne che sono state incluse nell'analisi finale dello studio era stato diagnosticato un cancro al seno tra il 2005 e il 2007 ed erano libere da malattia dopo quattro anni.
Le donne di colore e quelle con un'istruzione minore erano meno propense a scegliere la ricostruzione del seno. Più è elevata l'eta della donna, più era probabile che non fosse scelta la ricostruzione. Anche le donne che hanno avuto un altro grave problema di salute e quelle che hanno fatto la chemioterapia erano meno propense a scegliere la ricostruzione.
Circa il 16% delle donne ha detto che le assenze sul lavoro per sottoporsi a più interventi chirurgici creavano loro problemi.
La mancanza di un'assicurazione è stata citata da quasi il 12%. Nel 1998 la legge federale nota come "La salute delle donne e il cancro Rights Act", definisce che la maggior parte dei piani di assicurazione che coprono la mastectomia debbano riguardare anche la ricostruzione del seno. Tuttavia, i tassi di rimborso sono bassi e quindi alcuni chirurghi non li accetteranno.
Circa il 18% delle donne nello studio ha dichiarato di non sapere che la ricostruzione era un'opzione possibile.
"Abbiamo trovato, tuttavia, che vi era una maggiore probabilità che le donne non bianche e le donne con istruzione inferiore erano più inclini a esprimere un certo livello di insoddisfazione in caso di rifiuto della ricostruzione," aggiunge la Morrow.
I risultati sottolineano la necessità per i fornitori di assistenza sanitaria di affrontare e gestire stereotipi ed idee sbagliate delle pazienti.
"Non esiste un numero 'giusto' di donne che dovrebbero scegliere la ricostruzione,". La Morrow comprende il motivo per cui alcune donne scegliere di non fare l'intervento chirurgico. "Quando si trovano di fronte a una malattia pericolosa per la vita, la ricostruzione del seno non può essere la prima cosa nella propria mente mente,".
Lo studio, sostiene la dott.ssa Nora Hansen, capo della divisione di chirurgia del seno presso la Feinberg School of Medicine della Northwestern University, che "per la maggior parte, le pazienti sono soddisfatte del trattamento che hanno ottenuto".
Nella sua esperienza, che comprende molte donne con redditi più elevati e istruzione superiore, la Hansen ha detto che il 70% delle donne scelgono la ricostruzione dopo mastectomia.
Il tasso di ricostruzione del 42% evidenziato dalla Morrow è in realtà incoraggiante, ha detto la dott.ssa Laura Kruper, direttore del Cooper-Finkel Centro di Salute delle Donne e assistente professore di oncologia chirurgica presso il City of Hope Cancer Center, a Duarte, in California.
"Precedenti studi avevano documentato che i tassi medi di ricostruzione dopo mastectomia variavano al 25% al 35%". "La realtà è che ci saranno sempre alcune donne che non desiderano avere la ricostruzione del seno dopo la mastectomia."
In ogni caso la Kruper sostiene che è necessaria maggiore informazione per le pazienti. Il 24% delle donne, infatti, dichiara di non aver fatto la ricostruzione a causa delle preoccupazioni circa l'interferenza della protesi per la rilevazione di possibili recidive di tumore al seno, una preoccupazione, dicono gli esperti, non è giustificata.
 

Per saperne di più per le tutele in america rispetto alla ricostruzione del seno, visitate il US National Cancer Institute .

Ma per i lavoratori autonomi la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani non vale?

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Il 10 dicembre 1948, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò e proclamò la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Ma forse per noi lavoratori autonomi non vale. Probabilmente siamo una categoria particolare e nella tappa evolutiva del lavoratore siamo rimasti indietro, forse ci dobbiamo ancora evolvere per riuscire ad accedere, come gli altri, a certi diritti. Per noi, l'articolo 25 della Dichiarazione mi sa proprio che non conta un piffero......

Ecco cosa dice l'art.25 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in altro caso di perdita di mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà. (Leggi il testo completo della Dichiarazione)

ma del resto pure la nostra Costituzione, in riferimento ai lavoratori, sostiene qualcosa di simile nel suo articolo 38: Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria........

Mah...., c'è proprio qualcosa che non torna. 
Le cose sono due. O queste carte fondamentali e universali sono carte da culo e non ce ne siamo ancora accorti oppure forse è proprio il caso di scavalcare addirittura il Governo italiano ed il Ministero del Lavoro perchè invece della Petizione nazionale"Diritti ed assistenza ai lavoratori autonomi che si ammalano" dovremmo intraprendere un bel ricorso presso gli organismi sovranazionali?

Il problema dei lavoratori autonomi che si ammalano arriva al Consiglio Regionale della Toscana

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Nonostante il periodo estivo continua a procedere la battaglia per dare anche ai lavoratori autonomi una malattia dignitosa. L'intero gruppo Consiliare toscano di Fratelli d'Italia ha ascoltato l'appello di Afrodite K e presentato la mozione "Diritti e assistenza ai lavoratori autonomi colpiti da grave malattia" protocollata il 5 agosto 2014 presso il Consiglio Regionale della Toscana.

Dopo l'ordine del giorno“Diritti e tutela per i lavoratori autonomi colpiti da malattia grave o prolungata”presentato dal M5S presso il Consiglio Comunale di Grosseto anche al Consiglio Regionale della Toscana, si muove qualcosa. La mozione presentata (ecco il testo integrale) cita la Petizione"Diritti ed assistenza ai lavoratori autonomi che si ammalano" lanciata il 10 febbraio 2014 ed è stata firmata da tutti i consiglieri del Gruppo Fratelli d'Italia: Giovanni Donzelli, Paolo Marcheschi e Marina Staccioli.

Cosa stanno facendo le altre forze politiche?
Cosa stanno aspettando le altre regioni?
Cosa intendono fare gli altri comuni?

Questa è una problematica trasversale che riguarda tutti, ma proprio tutti, senza limitazioni geografiche e ideologiche: la possibilità di una tutela dignitosa della malattia per ogni lavoratore, indipendentemente dal tipo di lavoro che fa e dall'inquadramento che ha, è un diritto fondamentale!

Roma, 11 settembre 2014 Convegno "Lavorare durante e dopo il cancro"

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Afrodite K parteciperà questo convegno ed invita tutti i lavoratori autonomi ammalati (o che lo sono stati) a fare altrettanto."Esserci"è importante perchè il nostro problema principale è proprio questo: l'indifferenza totale in cui siamo relegati, il fatto che in termini di tutele in caso di malattia grave non esistiamo proprio, non ci siamo, non siamo contemplati. Rappresentiamo i lavoratori ombra, i non-lavoratori, i ricchi evasori che non meritano tutele.

L'interessante iniziativa è legata a Pro Job progetto premiato nell’ambito del Sodalitas Social Innovation Award, quale iniziativa più meritevole della categoria Italia Salute. Pro Job prevede strumenti volti a promuovere l’inclusione dei lavoratori malati di cancro nel mondo produttivo, sensibilizzare il management a creare per il malato condizioni ottimali nell’ambiente di lavoro, agevolare i lavoratori che hanno parenti malati a conservare il lavoro come previsto dalle tutele normative vigenti, disincentivare il ricorso a procedure inadeguate per fronteggiare le conseguenti difficoltà sul lavoro.
 
Peccato che per ora questo tipo di interesse sia concentrato sui lavoratori dipendenti. 
Ma, conteniamo le polemiche, e focalizziamoci sull'importanza di prendere in considerazione il delicatissimo tema del rapporto cancro/lavoro e della conciliazione della patologia oncologica con l'attività professionale (visto l'alto numero di giovani ancora in età lavorativa che si ammalano ogni anno). 
Senza abbandonare il nostro obiettivo legato alla Petizione"Diritti ed assistenza per i lavoratori autonomi che si ammalano" (che rimane il nostro faro) possiamo comunque fare un'operazione di "presenza" che rappresenta un forte atto simbolico ed una mano tesa verso i lavoratori dipendenti (alla fine della fiera il cancro è cancro per tutti). Del resto è un atto dovuto visto il numero elevato di lavoratori dipendenti che stanno firmando la Petizione e che non finiremo mai di ringraziare. La guerra tra poveri non è la strada giusta e questo Afrodite k lo sostiene da tempo anche attraverso una campagna video.

Afrodite K sarà presente e, visto che non è l'unica lavoratrice autonoma ad essersi ammalata di cancro,  vi da appuntamento lì. Per chi è di Roma, non ci sono scuse....... 

Roma, 11 settembre 2014
Lavorare durante e dopo il cancro.Una risorsa per l'impresa e per il lavoratore
Il Convegno è ad ingresso libero
Organizzato da AIMaC, ADAPT, AIOM, Università degli Studi di Milano
presso il Centro Congressi Roma eventi (Sala leopardi) in Piazza della Pilotta 4 (Fontana di Trevi)

Scarica il Programma ed il Modulo d'iscrizione 

Il lipofilling: una tecnica di ricostruzione del seno dopo la mastectomia ancora poco conosciuta

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Nei suoi tentativi di raccogliere informazioni per una scelta davvero consapevole in merito alla delicatissima questione della ricostruzione del seno dopo la mastectomia, Afrodite K si è imbattuta (anche grazie alle tante donne in tutta Italia con le quali è in contatto) nella tecnica che utilizza solo il trapianto del proprio grasso corporeo. Il cosiddetto lipofilling, nel quale il maggior esperto in Italia è il dott.Gino Rigotti.

Molte, moltissime donne ancora non conoscono questa possibilità. Troppe, secondo me. Forse perchè non si informano abbastanza e si limitano a prendere per oro colato quello che viene loro proposto nelle opzioni standard. Forse perchè alcuni tra quelli che dovrebbero informarle (medici e associazioni) in realtà non presentano loro questa possibilità.
Intendiamoci, dopo un cancro al seno, nessuna opzione di ricostruzione del senoè una passeggiata e chiunque voglia fartela passare come tale, in qualche modo non te la racconta giusta. Qualsiasi sia la tecnica adottata entra in ballo prepotentemente il fattore C per il quale fino a che non la provi non sai esattamente come il tuo corpo reagirà e se la cosa sarà di suo gusto. 
Afrodite K ha parlato con moltissime donne, davvero tante, facendosi raccontare le loro esperienze di ricostruzione. Non esiste una storia uguale ad un'altra, un corpo uguale ad un altro ed i vissuti sono i più disparati insieme ad aspettative diversissime e percezioni dei risultati altrettanto differenti. 
Insomma, un gran casino di desideri, paure, stereotipi, misure di tette, rapporti di coppia, storie di successo e di insuccesso, storie di soddisfazione parziale e così via.
C'è poi tutto il capitolo delle possibili complicazioni che, in teoria, possono emergere con qualsiasi tecnica o dei disagi che in qualche modo si presentano sempre (pure facendo solo il lipofilling ti puoi ritrovare con i tuoi ematomi nelle cosce e devi portare i pantaloncini contenitivi per un mese ogni volta...).
Nonostante questo, se una donna questa benedetta ricostruzione la vuol fare, rimane comunque una bella differenza tra averci una protesi (o spesso 2 per l'assestamento anche dell'altro seno o per le mastectomie bilaterali) ed un corpo estraneo sotto il pettorale o sentire la tua ciccetta addosso che cresce con te e che non dovrai più cambiare.
Ecco perchè ho ritenuto davvero importante condividere queste informazioni con le altre donne.
E non vi fate venire pensieri strani, Afrodite K non è lo sponsor del dott. Rigotti che comunque ha provato a contattare trovando in lui una persona davvero disponibile e gentile. Io quasi sicuramente un intervento del genere avrei grosse difficoltà a farlo perchè, anche se è passato da SSN, è molto lungo, richiede diverse sessioni e con il tipo di lavoro che faccio (partita iva) e con la situazione economica che ho (sono anche sola) non credo proprio che potrei permettermi di fare 4-7 viaggi a Verona dovendo pure farmi accompagnare da qualcuno (che fai ci vai da sola? e se poi ci sono complicazioni) e sostenendo le spese di viaggio ogni volta per 2. Ed in centro Italia pare che altri chirurghi plastici esperti nel lipofilling totale come il Rigotti, non ce ne siano.....
Ci tengo però a divulgare queste informazioni a tutte le donne in modo che possano arricchire il più possibile il ventaglio delle loro possibilità. Nel mio lavoro si chiama "empowerment" e vuol dire che abbiamo bisogno di non sentirci ingabbiati in soluzioni e scelte limitate. Riuscire ad immaginare e/o scovare il maggior numero di opzioni non solo può farci adottare scelte più consapevoli e più vicine ai nostri desideri e modi d'essere, ma anche darci un benessere interiore che per una persona operata di cancro è davvero determinante.

Ecco quindi un pò di dritte sul dott. Gino Rigotti che è l'esperto principale in Italia che effettua questo tipo di intervento ed ha l'esperienza maggiore in merito alla ricostruzione del seno effettuata totalmente con la tecnica del lipofilling (che negli altri casi è usato solo come integrazione per fare i ritocchi)
Vi consiglio questo un ottimo video dove Rigotti spiega nel dettaglio come funziona questo tipo di ricostruzione. Dura un pò ma merita.
Vi ricordo che è possibile effettuare l'intervento attraverso il Sistema Sanitario Nazionale e non necessariamente occorre sborsare migliaia di euro per interventi fatti nel privato!!!
Interessante anche questa intervista a Rigotti fatta da Gioia Locati a dicembre 2013 nel suo Blog.

In questo momento il dott. Gino Rigotti opera a Verona alla Casa di Cura San Francesco.
Questi sono i suoi riferimenti come da Pagine Bianche:
Viale Del Lavoro 25 - 37135 Verona (VR) tel: 045 8303026 ginorigotti@libero.it

Un abbraccio forte alle vostre tette, assenti e presenti, ricostruite e non, piccole, grandi, asimmetriche o.....perfette.

Ho il cancro: dirlo o non dirlo a lavoro?

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La comunicazione di una diagnosi di cancro nei contesti lavorativi non è equiparabile a quella che avviene all'interno del proprio nucleo familiare o amicale. Le problematiche e le conseguenze sono molto diverse. Se poi entriamo nello specifico dei contesti lavorativi troviamo ulteriori differenze tra il lavoro dipendente e quello autonomo. E' quasi impossibile nascondere una patologia oncologica se si è un lavoratore dipendente (anche solo perchè si deve chiedere la malattia), mentre per tutta una fetta di lavoratori autonomi (soprattutto consulenti, professionisti e freelance che svolgono parte del loro lavoro da remoto) spesso questo diviene quasi un obbligo per la paura di perdere clienti ed"inquinare" la propria immagine che deve essere sempre splendida e performante perchè qualcun altro possa "comprare" i tuoi servizi e tu possa continuare a mangiare.

Pro e contro
Decidere se comunicare o meno la diagnosi di cancro è una scelta molto personale che ognuno deve prendere per sè. Alcuni potrebbero considerare indispensabile divulgare la loro diagnosi perché hanno posizioni e mansioni tali per le quali sarebbe impossibile non farlo. Altri magari considerano un tumore un evento estremamente personale ed intimo da vivere in privato. In alcuni casi, tuttavia, il cancro e le terapie possono causare effetti collaterali come fatica, disturbi di attenzione e memoria, disagio psichico, dolori che compromettono i livelli di produttività in modo più o meno visibile. I cambiamenti nei livelli di produttività, le variazioni nell'aspetto fisico, le eventuali assenze prolungate possono dare alle persone, che non sanno nulla di ciò che ti è successo, motivo di preoccupazione e attribuzione di significati ed interpretazioni molto lontani dalla realtà. Il comunicare il tuo stato può d’altro canto far considerare possibili modifiche o adeguamenti della tua attività che potrebbero non farti piacere e crearti dei problemi. Per alcuni comunicare la diagnosi può essere anche un fattore “terapeutico”, per altri invece può rappresentare un elemento in più di disagio e sofferenza sociale. L’essere un lavoratore autonomo complica non poco la questione visto che il tuo fatturato non è regolare ed automatico ma dipende dalle tue prestazioni ed anche da come ti presenti ai clienti (avere un cancro non è un gran bel biglietto da visita in effetti). Insomma, una risposta univoca, è estremamente difficile da dare

A chi dirlo?
Al tuo capo? Ai tuoi colleghi? Al personale o alle risorse umane? Ai tuoi clienti? La risposta dipende da te e dal tuo contesto lavorativo. Può aiutare determinare chi ha davvero bisogno di conoscere il tuo stato ed iniziare a parlare con quelle persone che ti fanno sentire più a tuo agio. Se sei in dubbio puoi consultarti con il Personale e lasciarti guidare su come procedere. Ci sono casi in cui si potrebbe rimanere piacevolmente sorpresi dalla reazione che si ottiene dopo la comunicazione della propria malattia. Il proprio capo, collega, dipendente, cliente potrebbe trasformarsi in fonte di forza, di speranza e di incoraggiamento, di gran lunga al di fuori della sfera professionale. Occorre anche valutare la cultura dell’azienda o del settore di appartenenza. Qual è l'atteggiamento generale dei dipendenti? Siamo più come una famiglia o l’organizzazione è fortemente orientata al business? Quali sono le differenze di relazione che ho con i diversi dipendenti? Di chi mi fido? C'è già stato un altro caso di persona con il cancro,  come è stato trattato? Come reagiscono le persone di solito alla notizia della malattia di un collega? Con risentimento perché devono lavorare di più o fanno a gara per sostenerlo?. Contesti lavorativi più grandi non sono sempre migliori. Ambienti aziendali di grandi dimensioni possono spesso essere piuttosto impersonali oppure si può anche non conoscere tutti gli altri dipendenti e trarre conforto in un certo anonimato. Se il tuo contesto lavorativo è altamente competitivo potresti voler evitare che i colleghi sappiano.  Se si lavora per una società più piccola - o in un piccolo reparto di una grande azienda - ci può essere un’atmosfera più familiare tanto da trovare inconcepibile non condividere un’informazione come questa. Se sei l’amministratore della tua azienda non c'è bisogno di dirlo ad un capo. Tuttavia, rimane l'altrettanto difficile decisione se dirlo o meno ai propri dipendenti. La vostra decisione può essere complicata dal fatto che non è solo una questione personale ma riguarda il benessere della propria azienda. Se non sei regolarmente in ufficio i tuoi dipendenti non si accorgeranno più di tanto delle tue assenze. Tuttavia, se hai sempre avuto una forte presenza fisica nella tua azienda, i dipendenti potrebbero preoccuparsi e pensare anche al peggio.

Quando dirlo?
Come prima tappa  è sicuramente opportuno metterne al corrente prima familiari, amici e persone care. Ed è già tantissimo da gestire. Meglio darsi il tempo per rispondere alle loro domande ed elaborare l'esperienza con loro prima di condividere la notizia nel contesto lavorativo. Nella maggior parte dei casi, il momento migliore per comunicarlo è dopo che tu hai concordato il tipo di terapia con il tuo medico. A quel punto, infatti, saprai meglio come il tumore influenzerà le prestazioni lavorative ed il tuo aspetto. Poi potrai decidere se comunicarlo in anticipo rispetto agli effetti delle terapie e solo quando diventerà necessario.

Come dirlo?
Ora arriva la parte più difficile: come dire alle persone con cui lavori che hai un cancro?. Preparati a pregiudizi e fraintendimenti. Nonostante tutti i progressi e le innovazioni nel trattamento del cancro oggi, ci sono ancora molte idee sbagliate comuni su ciò che comporta una diagnosi di cancro. E importante essere consapevoli di questi miti prima di iniziare a diffondere la notizia in modo da sapere come reagiranno le persone. I più comuni sono: il cancro è una condanna a morte automatica, il cancro è contagioso, cancro significa che dovrete smettere di lavorare, il cancro rende automaticamente meno produttivi, meno competenti o meno affidabili.
Preparati a rispondere ad un sacco di domande. Se non saprai come reagire è probabile che neppure le persone intorno a te sapranno farlo. Molti avranno bisogno di un po' di tempo per abituarsi all'idea. Prova a fare un elenco di possibili reazioni - sia quelle che vuoi evitare che quelle che ti piacerebbe di più ricevere. Per esempio: paura, disagio, confusione, rabbia, evitamento, supporto, comprensione, empatia. Crea un ambiente confortevole e privato in cui comunicare la cosa.  Rivela solo ciò che serve ed in modo semplice.  Dai ai tuoi interlocutori la possibilità di porre alcune domande. Spiega loro cosa aspettarsi in termini di assenze future, e fai loro sapere che ci potranno essere momenti in cui il tuo umore e la tua produttività ne saranno influenzati. Non avere paura di chiedere se puoi contare su di loro. Valuta se far sapere loro che ti aspetti cambiamenti nel tuo aspetto (perdita di capelli, pelle e cambiamenti di peso). Spiega loro che è parte del processo di guarigione e, se te la senti, butta lì anche qualche battuta come il bisogno di un restyling che avevi in ogni caso. Rassicurali che non sparirai e che sei ancora parte integrante della squadra. Chiedi quello di cui hai bisogno, le persone apprezzeranno la tua franchezza. Il fatto che stai condividendo la tua diagnosi non significa che non hai più diritto alla tua privacy. Anche le migliori intenzioni dei colleghi possono essere eccessive a volte, soprattutto quando la tua energia è già messa alla prova. L'ultima cosa che vuoi è la coda di colleghi alla tua scrivania che ogni giorno chiedono aggiornamenti o danno consigli. Hai condiviso ciò che volevi e traccia però anche una linea di confine. Concediti il permesso di dire di no in maniera delicata e professionale quando ti serve. Preparati anche a reazioni contrastanti.Situazioni come queste possono far emergere il peggio nelle persone, ma anche il meglio. Puoi anche, scoprire che parlare del tuo cancro è un sollievo incredibile ed una straordinaria fonte di sostegno.

Cosa dire?
Se si desidera mantenere le informazioni condivise al minimo, puoi raccontare la tua diagnosi esatta, come l’hai scoperta, le terapie che avrai, quale sarà la tua assenza, i nomi dei tuoi medici e specialisti. Non allarmarti se il tuo datore di lavoro richiede la documentazione della diagnosi, non è una questione di sfiducia ma di scartoffie e burocrazia. Potresti presentare anche un piano, una strategia per la gestione del lavoro in futuro. Questo, non solo rafforzerà la tua posizione come membro attivo e orientato alle soluzioni della squadra, ma invierà anche il messaggio “non ti preoccupare, tornerò”. Può esserti utile condividere anche le tue emozioni: il tuo atteggiamento, le tue paure, le tue speranze. Continua ad informare i tuoi interlocutori nel contesto lavorativo in modo regolare nel tempo informandoli se c'è un cambiamento nella tua condizione o trattamento che possa influire sulla tua prestazione. Se hai bisogno di aiuto, chiedilo.

E se sei un lavoratore autonomo?
Beh..., fatti forza, perchè sarà decisamente più complicato. Un dipendente magari potrà avere il problema del mobbing, tu semplicemente, rispetto alla comunicazione del tuo stato (o al fatto che in qualche modo si viene a sapere), ti troverai semplicemente a non essere più contattato da alcuni clienti (che non vogliono rogne e possono in un mercato competitivo ed in crisi, rivolgersi a molti altri professionisti). D'altro canto può, attraverso la gestione che farai della malattia, dimostrare il tuo "spessore" ed acquisire ulteriori punti. Occhio però che questa ultima situazione potrebbe farti cadere in una trappola frequente per i pazienti oncologici (soprattutto le donne con il cancro al seno"): il mito del guerriero che lotta contro il cancro e non cede mai. Di cedere avrai bisogno eccome e le energie che potresti decidere di spendere nel nasconderlo ai clienti potrebbero non aiutarti ma, anzi, dissanguarti ancora di più. Il fatto poi che alle complicazioni lavorative si aggiungano anche quelle economiche (il fatturato si fermerà per un pò di tempo e comunque si ridurrà), può diventare un ulteriore elemento da nascondere. Soprattutto nel mondo dei professionisti vige una regola non scritta per la quale si tende a non manifestare le proprie difficoltà economiche a colleghi e clienti perchè i professionisti bravi e ricercati non possono avere di questi problemi, se li hanno probabilmente non sono così bravi, non sono così ricercati, c'è qualcosa in loro che non va.
Afrodite K ha scelto la massima visibilità. Una scelta quasi obbligata e dovuta alla necessità di portare avanti una vera e propria battaglia sociale attraverso la Petizione "Diritti ed assistenza per i lavoratori autonomi che si ammalano". Non nascondo che questo qualche prezzo lo fa pagare eccome. Nessuna cosa di clienti all'orizzonte pronti a darti commesse ed incarichi...... C'è però un grande vantaggio che ho riscontrato personalmente nel dichiarare il mio stato e le mie difficoltà: liberare e rendere utilizzabile tutta quella energia che avrei dovuto spendere per nasconderlo. Mi sento decisamente più leggera. Non solo, il mio "outing"è legato ad una battaglia sociale e quindi assume un significato molto più ampio. Però questa è la MIA storia. ogni caso è a parte. Tu potrai fare la TUA scelta. Se sei un lavoratore autonomo, auguri.

"Pink Ribbons, Inc.": il documentario americano sul business del cancro al seno

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Cavolo se apre la mente 'sto FILM! Merita un post tutto per sè. Nonostante il mio pessimo inglese, sono bastate le prime immagini per sentire qualcosa che saliva da dentro che si è poi sciolto in lacrime. Lacrime di rabbia, di tristezza, non so. C'è qualcosa che davvero non torna in questo modo di rappresentare il cancro al seno edulcorato da tutto questo rosa, da tutta questa allegria. Lo chiamano il fenomeno del pinkwashing. Forse in Italia ancora non siamo ai livelli degli Stati Uniti (ma ce la stiamo mettendo davvero tutta per arrivarci) ma è anche vero che non siamo nemmeno al loro livello in termini di pensiero critico e ancora ci beviamo a bocca aperta i nostri bravi Nastri Rosa. Sinceramente non so cosa è peggio. Guardate questo documentario e decidete se forse è il caso di esser un po' più consapevoli la prossima volta che state per indossare un fiocco rosa o per metterlo nella vostra bacheca Facebook. Io sinceramente ho smesso da un pò ed ho deciso di dare il mio contributo sul tema del cancro al seno in altri modi.

Guarda il Trailer del documentario con i sottotitoli in italiano
Guarda il documentario intero in inglese

"Pink Ribbons, Inc."è un film-documentario della National Film Board of Canada (NFB) realizzato nel 2011 e riguardante le campagne Nastro Rosa (Pink Ribbon) per la regia di Léa Pool e prodotto da Ravida Din. Il film è basato sul libro del 2006 "Pink Ribbons, Inc: il cancro al seno e la politica della filantropia" di Samantha King, professore associato di studi di kinesiologia e salute alla Queen University.

Il film documenta come alcune aziende utilizzano il marketing legato al Nastro Rosa per aumentare le vendite, contribuendo solo con una piccola parte del ricavato alla causa del cancro al seno in sè. Racconta, inoltre, come le aziende usano il cosiddetto "pinkwashing" per migliorare la propria immagine pubblica mentre continuano la produzione di prodotti che potrebbero essere cancerogeni. Rispetto ai milioni raccolti da queste campagne per la ricerca sul cancro al seno, il film sostiene che non vengono utilizzati soldi sufficienti per migliorare la prevenzione o per identificare i possibili fattori ambientali del cancro al seno. Pink Ribbons, Inc. presenta interviste con personaggi critici verso le campagne del Nastro Rosa: ricercatori e malati di cancro. Viene intervistata anche Charlotte Haley, che ha iniziato una campagna con il nastro color pesca più di 20 anni fa per spingere il National Cancer Institute ad aumentare il suo budget per la ricerca sulla prevenzione del cancro. Quando la Haley è stata avvicinata da Self Magazine e dalla società di cosmetici Estée Lauder nel 1992 per usare i suoi nastri in una campagna di sensibilizzazione del cancro al seno, lei ha rifiutato, perché non aveva alcun desiderio di essere parte di un'operazione commerciale. Così la società ha cambiato il colore del nastro in rosa per eludere gli sforzi della Haley per fermare l'iniziativa. Inoltre è descritta la "IV Lega" un gruppo di sostegno del Texas per le donne con diagnosi al 4° stadio di cancro al seno, che si sentono infastidite dal movimento Nastro Rosa perché, come dicono loro, "c'è chi sta imparando a vivere e chi sta imparando a morire".
L'autrice del libro Samantha King ha definito questo tipo di campagne con l'espressione "la tirannia dell'allegria". Ravida Din, il produttore di NFB, è una sopravvissuta al cancro al seno che aveva letto il libro di Samantha King e nel 2001 l'articolo di Barbara Ehrenreich "Welcome to Cancerland" su Harper Magazine: "Inizialmente ero affascinata dal contesto economico e storico del mondo della filantropia," ha detto. "La domanda che mi ha incuriosito è stata come siamo arrivati ​​a questo tipo di cultura del cancro al seno che privilegia lo shopping come soluzione invece di arrabbiarsi e chiedere il cambiamento?".
Dopo aver sviluppato uno schema per il progetto con l'aiuto gli sceneggiatori Nancy Guerin e Patricia Kearns, Ravida Din ha iniziato a cercare il regista giusto, ed ha deciso di proporre la cosa a Léa Pool.
Il film presenta l'uso pesante e ossessivo del colore rosa, su capi di abbigliamento, nel marketing, nei monumenti illuminati come le Cascate del Niagara e l'Empire State Building mostrando anche alcuni spezzoni di manifestazioni pubbliche ed eventi di corsa (come la Komen for the Cure).

Ecco alcuni passi tradotti dalla recensione del critico cinematografico Mark Jenkins :

Il provocatorio Pink Ribbons, Inc. è una critica della "cultura del cancro al seno". Potrebbe essere definito un blitz nella beneficenza del Nastro Rosa e dei suoi partner aziendali - anche se usare questo termine vorrebbe dire emulare le metafore di guerra e di sport che lo stesso documentario rifiuta.
Come osserva una donna, descrivere il trattamento del cancro come una "lotta" o una "battaglia" suggerisce che è sempre possibile sconfiggere la malattia se le pazienti fanno uno sforzo eroico. L'implicazione è che le persone che muoiono "non stavano lottando abbastanza". 

Il cancro al seno è la forma più comune di cancro che affligge soprattutto le donne (anche alcuni uomini possono però contrarlo) Questo tipo di prevalenza spiega in parte l'ascesa del movimento del Nastro Rosa. I critici delle campagne di raccolta fondi sostengono che aziende come Avon e Yoplait sono attratti dalla causa del cancro al seno proprio per la sua connotazione "femminile". Le malattie cardiache ed il cancro ai polmoni semplicemente sono meno "rosa".
La regista canadese Lea Pool spara le sue cartucce in molte direzioni. Oltre alle interviste, le sequenze animate, le clip d'epoca provenienti da programmi di notizie e annunci di servizio pubblico, vengono mostrati eventi e campagne con il Nastro Rosa, camminate di beneficienza, l'illuminazione in rosa delle Cascate del Niagara e così via.
Le obiezioni a tali iniziative sono in parte una questione di gusto. Anche se il film dedica gran parte della sua attenzione a questioni più sostanziali, ci vuole davvero poco per irritarsi rispetto all'approccio kitsch ed alla "dittatura dell'allegria".
Pool ed i suoi due co-sceneggiatori hanno cominciato con il libro di Samantha King e la King è una delle principali voci del film. Vi sono rappresentati l'autrice Barbara Ehrenreich, una sopravvissuta al cancro al seno; l'ex chirurga dott.ssa Susan Love e l'ex leader di Action Breast Cancer Barbara Brenner.
Il testimone principale in difesa del Nastro Rosa è Nancy Brinker di Susan G. Komen for the Cure, che è stata intervistata prima della controversa (e rapidamente annullata) rottura con Planned Parenthood. Il gruppo della Brinker ha incassato 1,9 miliardi dollari per la ricerca del cancro al seno. Mentre questo è un risultato straordinario, i risultati sono meno impressionanti.
La discrepanza tra ricerca e risultati è uno dei punti più controversi della campagne del Natro Rosa. Molti commentatori nel film sostengono che la ricerca del cancro al seno è scarsamente coordinata e focalizzata. Meno del 30% dei pazienti ha una propensione genetica per la malattia, il che significa che la maggior parte dei casi derivano da cause ambientali (relativamente ancora poco studiate in termini di prevenzione) o da sostanze chimiche che imitano gli estrogeni e perturbano il sistema endocrino umano.
Alcuni degli sponsor delle campagne Nastro Rosa sono in qualche modo implicati nell'aumento dei casi di cancro. Avon è uno dei principali sostenitori della causa, ma alcuni cosmetici contengono sospetti agenti cancerogeni. Pur incoraggiando i clienti a inviare coperchi Yoplait in cambio di donazioni per la ricerca del cancro al seno, il produttore del yogurt ha utilizzato latte che conteneva l'ormone della crescita bovina (sostanza che è vietato in molti paesi e che è stata successivamente eliminata) L'obiettivo di tali società, a parere dei loro critici, è quello di realizzare un'operazione di "pinkwashing" dei prodotti potenzialmente cancerogeni.
Tali argomentazioni scientifiche rimangono irrisolte, e questo documentario politicamente polemico non offre risposte. Ma l'indignazione del film sembra giustificata almeno su un punto: finora il movimento dei Nastri Rosa ha contribuito molto di più al marketing che alla medicina.

Insieme, fuori ed a testa alta: le partite iva esistono e si ammalano

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Fantastica idea di Roberta Papi, una freelance dalla doppia anima (consulente e formatrice aziendale ma anche guida escursionistica), che ha deciso di dare il suo contributo alla tutela dei lavoratori autonomi che si ammalano utilizzando ciò che sa fare e devolvendo il ricavato alla battaglia di Afrodite K. In questo modo continuiamo a diffondere la Petizione "Diritti ed assistenza ai lavoratori autonomi che si ammalano" ed a raccogliere fondi per il crowdfunding promosso da ACTA. Speriamo sia l'inizio di una serie di eventi su tutto il territorio nazionale promossi da i freelance per i freelance. Vatevi avanti!!

Domenica 28 settembre 2014 a Monterotondo Marittimo (GR) avrà luogo un'iniziativa a favore della causa promossa da ACTA (Associazione Consulenti Terziario Avanzato) “Con Daniela Fregosi per un'equa tutela della malattia”.
La malattia in tutte le sue forme, pur costringendo a periodi di inattività i professionisti, presenta forti discriminazioni nelle garanzie e tutele minime a seconda dell’inquadramento fiscale o contrattuale che il lavoratore ha.
A sollevare il problema, destando un forte interesse nei media locali e nazionali, è stata Daniela Fregosi che da consulente aziendale ha dovuto bruscamente interrompere la sua attività a causa di un tumore al seno. Da qui la scoperta delle mille difficoltà di tipo normativo, burocratico e fiscale che un lavoratore autonomo deve superare, oltre ovviamente alla gestione della malattia. 
Nasce da lei una petizione per richiamare attenzione sul tema che sta raggiungendo le 50.000 firme a dimostrazione di quanto è sentito il problema.
A seguire il sostegno di ACTA con la raccolta fondi che coprirà le more della sua disobbedienza fiscale.
L'intero incasso (non saranno trattenuti rimborsi di alcun tipo) sarà devoluto alla causa promossa da ACTA. 
Daniela Fregosi in arte AfroditeK sarà presente e porterà la sua testimonianza ad inizio percorso.
Ad erogare materialmente il servizio una delle guide ambientali che aderisce al progetto “G.R. Toscana Outdoor”, Roberta Papi che da freelance libera professionista vive anche sulla sua pelle le tematiche portate avanti con la petizione.
Una giornata in cui i professionisti si impegnano attivamente per la categoria dei professionisti. Una giornata in cui si chiede l’adesione anche di chi libero professionista non è, poiché i diritti e le tutele minime dovrebbero essere garantiti indipendentemente dall’inquadramento fiscale e dovrebbero essere preoccupazione di tutti.

La visita guidata si svolgerà dalle 10,30 alle 16,30-17,00.
Il ritrovo dei partecipanti è previsto alle 10,30 nella Piazza di Monterotondo Marittimo (Grosseto).
Costo escursione €15,00 adulti - €5,00 under16
Ulteriori informazioni: 338.8811188 – g.r.toscanaoutdoor@gmail.com 

Evento Facebook: https://www.facebook.com/events/1490182011251061

Sostengono l’iniziativa:
ACTA (Associazione Consulenti Terziario Avanzato)
Afrodite K
Associazione Nazionale per la sicurezza sul lavoro Ruggero Toffolutti
Associazione ExAequo: libera organizzazione di persone
Studiografico M di Marco Formaioni


Una risorsa in più per i pazienti oncologici: l’utilizzo del REIKI negli ospedali di tutto il mondo

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Da quando mi sono fatta il regalo di accogliere il Reiki nella mia vita usandolo come una risorsa aggiuntiva per gestire la mia diagnosi di cancro al seno, ne sono rimasta talmente entusiasta che, oltre ad auto-praticarlo a go go, ho iniziato ad interessarmi all'applicazione di questa tecnica nello specifico proprio ai pazienti oncologici. In realtà ho trovato più materiale di quanto mi aspettassi. Anche in Italia ci sono diverse sperimentazioni ed il Reiki ha già dimostrato di essere un strumento davvero utile per le persone che devono gestire un tumore e gli effetti collaterali delle terapie. Condivido con voi le informazioni che ho raccolto nella speranza che questa meravigliosa, semplicissima e superversatile tecnica possa portare sollievo a tante altre persone al di là di quello che sta donando a me da quando ho iniziato ad utilizzarla.

Se non hai la più pallida idea di cosa è il Reiki, intanto comincia a dare un'occhiata qui.

Di sperimentazioni del Reiki in ospedale ne ho trovate davvero diverse (vedi gli esempi di seguito) ma rimango dell'opinione che la cosa più sensata sia rendere i pazienti oncologici autonomi nel farsi gli auto-trattamenti, così come sto facendo io che ho frequentato un corso di I Livello Reiki e adesso lo utilizzo ogni volta che voglio adattandolo al mio stile di vita, alle mie esigenze mediche, ai miei orari.
La versatilità del Reiki è enorme e questo lo rende veramente adatto ad una persona che ha avuto una dignosi di cancro. Lo può utilizzare in moltissimi momenti diversi ed in moltissime condizioni psicofisiche. Non è faticoso e non richiede posizioni difficili da tenere. Un malato può farsi autotrattamenti prima, durante e dopo alcune terapie particolarmente invasive come la chemio, nelle lunghe attese che spesso capita di fare per visite ed esami diagnostici, nei momenti in cui è stanco e sta fermo o sdraiato per riposare, quando è giù di morale oppure molto teso per esami da fare o risultati da aspettare, può trattare i medicinali che assume per limitare gli effetti collaterali. Insomma non c'è limite alla fantasia ed ognuno può trovare occasioni ed inventarsene di nuove nel tempo.
Da non sottovalutare poi la possibilità di scambiarsi trattamenti con altre persone (malati o meno): è un'occasione di relazione, scambio e dono reciproco che è veramente molto "sana" per una persona malata che tende ad avere la percezione di dover solo "ricevere" e di avere poco da "dare" (niente di più falso ovviamente!!!)
Se sei un paziente oncologico ti consiglio vivamente di informarti su chi, nella tua zona, realizza corsi di questo tipo. Se invece fortunatamente tu non hai problemi di salute puoi utilizzare ugualmente il Reiki (non c'è limite allo stare bene, no?) oppure potresti fare un fantastico regalo ad una persona a cui vuoi bene e che ha incontrato il cancro nella sua vita, te ne sarà grata, non sai quanto....

Io personalmente sto usando il Reiki: tutti i giorni con una sessione di auto-trattamento di 1 ora, come pronto soccorso soprattutto su pizzichi o escoriazioni sul braccio e la mano del lato operato (mi mancano 9 linfonodi e quindi il mio drenaggio linfatico rischia di stressarsi facilmente), per trattare l'acqua che bevo, per trattare le pasticche di tamoxifene che assume mia mamma al suo terzo tumore al seno,  prima di un esame diagnostico o di una visita per l'ansia, prima e dopo esami diagnostici  "intossicanti" (come la risonanza magnetica con liquido di contrasto), sulle cicatrici dell'intervento chirurghico, per i momenti no, e........via via per tutto quello che mi potrà servire, perchè il viaggio con il cancro è moooolto lungo.

Una spiegazione scientifica sull'uso del Reiki con i pazienti oncologici (fonte)

Percomprendere icambiamenti biologiciprodotti dalreiki, lo psicobiologo brasiliano RicardoMonezi lo ha testato suitopi con il cancro. "L'animale non haimplicazioni psicologiche, fede, credenze o empatianei confronti dell'operatore", spiega Monezi. Per laricerca Moneziha scelto,tratutte lepratica che utilizzano l'imposizione dellemani, proprio il Reikiessendol'unica senzasfumature religiose. Nell'esperimento, che è durato 5 anni, il team di ricercaha diviso60topicontumoriin tregruppi. Il gruppo di controllonon ha ricevutoalcun trattamento, il gruppodel "guanto di controllo" ha ricevuto un trattamento "finto" con un paio di guanticollegati amanici in legno, edil gruppo"imposizione" ha rivevuto trattamenti di reiki con le mani di uno stesso operatore. Gli animalisono stati sottopostial Reikiper quattro giorni, insessioni di 15 minuti. Dopo l'esperimento, gli animalisono stati valutati perla loro risposta immunitaria e cioè per la capacità del corpodi distruggere i tumori. Irisultati hanno mostrato chenel gruppo "imposizione", globuli bianchi ecellule immunitariehannoraddoppiatola lorocapacità di riconoscere edistruggere le cellule tumorali. Secondo ilbiologo, questirisultatiescludonol'ipotesiche il successodel trattamentoè il risultato disuggestione psicologica. "Non so ancoradistinguere se l'energia che agisce nel Reiki èdi tipomagnetico, elettromagnetico o elettrico. Gli articoliche descrivonolanatura sottiledell'energia trovano spiegazioni nella fisica attuale".Secondo lui, questa energiaproduce ondefisiche, che rilasciano un ormonein grado di attivarele celluledi difesa del corpo. Non vi sonostate, inoltre, differenze significativenei gruppi che non avevano ricevuto il Reiki. La squadra hainiziato adanalizzare gli effetti delReikinegli esseri umani. Lo studionon è ancora completo, malo psicologoha detto che ilprimo gruppo di16 persone, ha già mostrato risultati positivi. "I risultati suggeriscono un miglioramento, peresempio, nella qualitàdella vita e nella riduzione dei sintomi diansia e depressione." Il lavoro è parte della suatesi di dottoratopresso l'Università Federaledi São Paulonel 2013 (Unifesp).

Il Reiki per le donne operate di cancro al seno

Visto che sono una donna operata di tumore al seno, inserisco questa parte dedicata proprio alle pazienti oncologiche che hanno subito una mastectomia. Come suggerisce la fisioterapista (e reikista II Livello) Monica Bianchini di Grosseto, le donne colpite da carcinoma mammario che si sottopongono ad un intervento di mastectomia vanno incontro a più problematiche nella fase post-operatoria. In primo luogo, durante l'intervento, vengono asportati in parte o completamente i linfonodi del comparto ascellare, questo provoca dei danni permanenti nella circolazione linfatica nell'arto superiore interessato. Nei mesi e a volte negli anni seguenti, la paziente può riscontrare una deficienza nella circolazione linfatica con un conseguente linfedema (braccio gonfio ed edematoso), e a volte dolore all'arto. Altra conseguenza dell'intervento di mastectomia è la cicatrice che rimane, il tessuto connettivo e il derma subiscono un danno che rende il tessuto fibrotico, poco elastico e non sono rare le aderenze cicatriziali. Tutto questo spesso crea difficolta' nella mobiltà articolare, con una perdita del range di movimento della spalla, in alcuni casi anche di notevole entità. Per tutte queste conseguenze, in ambito fisioterapico, esistono varie tipologie di intervento (linfodrenaggio manuale o meccanico per ridurre l'edema e kinesi terapia passiva e attiva per il recupero della mobilità dell'articolazione scapolo-omerale. In tutti questi casi il fine dei vari trattamenti medici o fisioterapici è quello di ripristinare un equilibrio perduto nell'organismo, ed è qui che si inserisce benissimo una tecnica come il Reiki. Funzione principale del Reiki, come ben sanno tutti coloro che lo praticano e lo conoscono, è il Riequilbrio energetico. Il Reiki quindi rappresenta un valido ed importante aiuto nel processo di guarigione psico fisica delle pazienti che si trovano a dover affrontare questo percorso. Sarebbe auspicabile trovare nei reparti ospedalieri personale che pratica questa tecnica, che come sappiano nella sua funzione di riequilibrio ottiene più risultati: diminuzione del dolore, miglioramento dei processi metabolici tessutali e non ultima ha la capacità di regalare serenità in persone molto provate dalla malattia.

La storia di Michael McCarty paziente oncologico dell'Indiana con un tumore alla gola.

Il Reiki negli ospedali
Da molti anni ormai il Reiki viene utilizzato con successo in numerosi ospedali e strutture sanitarie di tutto il mondo. La sua efficacia è stata testata nella terapia per alleviare ansia, paura e depressione nei pazienti affetti da malattie oncologiche, risultando spesso utile anche nel diminuire gli effetti della chemioterapia.
In Italia il Reiki viene effettuato ai pazienti secondo tariffario del S.S.N. presso i seguenti ospedali: Centro di Medicina Psicosomatica dell’Ospedale S. Carlo Borromeo di Milano; Ospedale Versilia dell’Azienda Sanitaria della Regione Toscana; Policlinico di Roma.
Vi è da segnalare inoltre la significativa esperienza del C.O.E.S. (Centro Oncologico Ematologico Subalpino) dell’Azienda Ospedaliera San Giovanni Battista di Torino Ospedale Molinette. Qui dal 2003 un progetto pilota sta svolgendo un’indagine, in collaborazione con il personale medico, sull’efficienza dei trattamenti Reiki nell’accompagnare dei malati oncologici nel corso delle diverse fasi della malattia. Il paziente è seguito da un’equipe composta di differenti figure professonali: un medico, uno psicologo, il personale infermieristico, gli operatori Reiki dell’associazione Cerchio di Luce. Il progetto sta incontrando un vasto consenso fra i pazienti e dal 2005 i trattamenti di Reiki sono inseriti nella Guida ai servizi aziendali e territoriali COES e sul sito ufficiale reteoncologicapiemontese.it dell’Ospedale Molinette di Torino.
Qui di seguito uno stralcio dall’articolo, che parla dei risultati raggiunti al termine della prima fase di sperimentazione (visto il successo il progetto è stato rinnovato), apparso il 2 febbraio 2007 nella cronaca di Torino di “La Repubblica”: “(…) Dall’esperienza di altri paesi nel mondo, [il reiki] è arrivato negli ospedali anche in Italia ed è stato sperimentato tra i pazienti oncologici in un primo studio pilota effettuato al Coes, il centro oncologico delle Molinette. Il risultato è a dir poco sorprendente: il 98 per cento delle persone trattate con il Reiki ha dichiarato di averne tratto un beneficio psicofisico. La sensazione descritta è di un sensibile calo dell’ansia soppiantata da un effetto di rilassamento generale, accompagnato da una piacevole sensazione di calore e da un notevole miglioramento dell’umore. In una piccola percentuale (il 10 per cento) i pazienti hanno dichiarato di aver avvertito anche una riduzione del dolore. (…)”. Nella stessa data anche Torino Cronaca e La Stampa ne hanno parlato. Quest’ultima specifica che: “Lo studio effettuato sull’efficacia del Reiki (…) in integrazione alle terapie dei pazienti con neoplasie avanzate rivela che i 94 trattamenti esegiti hanno portato beneficio nel 98% dei casi. Il benessere è prodotto da un effetto di rilassamento, accompagnato da una piacevole sensazione di calore e da un notevole miglioramento dell’umore: lo stato emotivo di tranquillità in alcuni casi si protrae anche per alcuni giorni dopo il trattamento. (…). Alcuni pazienti hanno riferito di aver notato un miglioramento della qualità del sonno. (…)”. Da notare che i risultati di ci sopra sono stati raggiunti con soli quattro trattamenti di Reiki per paziente.
Nel Reparto Oncologico dell’ospedale Cardinal Massaja di Astiè stata avviata nel 2008 una ricerca scientifica (approvata dal Comitato etico di Alessandria) sulla valenza dei trattamenti reiki per gli ammalati sottoposti a chemio o radioterapia. Da notare che il reparto, diretto dal primario Franco Testore, ha ottenuto, sesto in Italia, l’accreditamento all’eccellenza ed è stato segnalato tra i 5 migliori del paese per l’umanizzazione delle cure.
Il Progetto Ulisse ed il Progetto Me.Te.C.O., Medicine e Terapie Complementari in Oncologiapresso l'Istituto Tumori di Milano.
Guarda il video realizzato all'IstitutoNazionaleTumoriReginaElena (IREISG) di Roma, nelrepartodiradioterapiadove sisperimentanotecnicheReikiinoncologia.
Il Reiki all'Ospedale di Ovada (Alessandria) ed all'Ospedale S.Paolo di Napoli.
Progetto Reiki: il tocco come empatia, attenzione ed energia presso l'Hospice Madonna dell'Uliveto di Montericco di Albinea (RE).

In Svizzera alcune assicurazioni e casse mutualistiche rimborsano i trattamenti di Reiki.
Negli U.S.A. il Reiki viene utilizzato nelle seguenti strutture ospedaliere:
  • Memorial Sloan-kettering Cancer Center – New York: l’ospedale propone il Reiki come terapia individuale per i degenti, a richiesta di questi ultimi. Nell’ospedale inoltre ci sono 6 dottori e 25 infermiere che usano Reiki. I corsi sono stati tenuti da Marylin Vega, che esegue trattamenti di Reiki ai malati, inclusi malati di cancro e trapiantati ai reni.
  • Manhattan Eye, Ear and Throat Hospital – New York: Marylin Vega esegue trattamenti Reiki pre/post operazione e a malati di ogni genere.
  • Women&Infant Hospital – Providence, Rhode Island.
  • Reiki Clinic nel Dipartimento di Oncologia, gestita da Ava Wolf e Janet Wing.001 401-727-3034- awawolf@home.com
  • Rhode Island State Nurse’s Association – Al suo interno si effettuano training di Reiki per infermieri.
  • Tucson Medical Center (TMC) – Arizona: dal 1995 si eseguono trattamenti Reiki ai pazienti nei loro letti, per opera di volontari. Il Reiki si è diffuso prima in Oncologia, e poi gradualmente anche negli altri reparti.
  • Portsmouth Regional Hospital – New Hampshire: il Reiki è offerto sistematicamente come servizio per i pazienti del reparto di Chirurgia dell’ospedale, da parte dei 20 membri formati al Reiki. Più di 400 pazienti hanno ricevuto trattamenti pre o post operazione dal 1997 ad oggi.
  • California Pacific Medical Center – North California – E’ uno dei più grandi ospedali della California. Al suo interno usa molte medicine complementari, tra cui il Reiki. Programma gestito da due medici, Dr. Mike Cantwell e Dr. Amy Saltzman con successo: la lista di attesa è spesso sopra i 100 pazienti. I pazienti che reagiscono bene ai trattamenti di Reiki partecipano ad un corso di Reiki in modo da continuare ad auto-trattarsi, liberando il personale interno all’ospedale che può così trattarne altri.
  • University of Michigan Medical School: Mary Lee Radka, infermiera, gestisce i corsi di Reiki all’interno dell’ospedale destinati a infermieri ed allo staff ospedaliero. Nell’ospedale è usato il Reiki, tra l’altro anche nel pronto soccorso.
  • Ospedali del New England (USA): più di una dozzina di ospedali della regione hanno formato il loro staff al Reiki e lo applicano come cura complementare.
  • Columbian Presbyterian Medical Center – New York: il Dr. Mehmet Oz, noto cardiochirurgo, si fa aiutare da Julie Motz (operatore Reiki) durante le operazioni a cuore aperto ed i trapianti di cuore con ottimi risultati sul decorso post-operatorio.
  • Marin General Hospital – Marin, California: Julie Motz (operatore Reiki) ha sperimentato Reiki durante le operazioni (ad. es. mastectomia) con ottimi risultati.
  • Albert Einstein Healtcare Network – Philadelphia: True Gala conduce ricerche scientifiche sull’efficacia del Reiki in casi di AIDS avanzato
  • Dana-Farber Cancer Institute – Boston: le cure complementari (CAM), tra cui Reiki, sono state integrate alle normali cure oncologiche.
  • Warren Grant Magnuson Clinical Center of the National Institutes of Health (NIH): Ann Berger, responsabile del Pain and Palliative Care Service (Servizio Dolore e Cure Palliative) dell’ospedale, nel 2000 ha introdotto il Reiki con successo in quest’ambito.
Ah, dimenticavo....se vi volete fare 2 risate potete leggervi pure questa sequenza infinita di baggianate e inesattezze. Da Reikista è una lettura molto divertente.......: Reiki: mani miracolose

Cancro e Lavoro: riprendere a lavorare dopo un tumore

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Il rapporto cancro e lavoro sarà una questione sociale (e produttiva) sempre più importante nel futuro. Perchè? Beh, non ci vuole poi molto a capirlo. Le patologie tumorali sono in aumento (in futuro 1 persona su 2 si ammalerà di tumore), diminuiscono le percentuali di mortalità per tumore, l'età pensionabile si allontana sempre di più, i tumori aumentano tra i giovani (ancora in età lavorativa). Mettete un pò tutto insieme e fate un po' voi i conti: ci saranno sempre più persone che vorranno (e dovranno) lavorare convivendo con il cancro. Afrodite K è andata a Roma al convegno "Lavorare durante e dopo un cancro" ed è tornata a casa con un bel po' di suggestioni.


Intanto cominciamo con il precisare che forse è sarebbe meglio parlare di "riprendere" a lavorare e non "ritornare" perchè questo ultimo verbo dà un po' troppo per scontato che si ritorni in un posto di lavoro, ossia si parli di dipendenti, mentre "riprendere" recupera tutta quella fetta di lavoratori, gli autonomi, che in genere se si ammalano, non se li considera nessuno. Il linguaggio è importante, fa cultura....

Altra precisazione dovuta è sulla motivazione per la quale approfondisco maggiormente le patologie tumorali rispetto alle malattie croniche in generale (diabete, malattie respiratorie e cardiovascolari, tumori, HIV, epatite e malattie mentali). E' una questione di auto (paziente/lavoratore) ed eteropercezione (datore di lavoro/cliente). Il cancro viene maggiormente associato alla morte e percepito (a torto) come incurabile. Rispetto all'attività lavorativa viene considerato molto più spesso "una rogna" da nascondere e quindi crea problematiche specifiche. Non ce ne vogliano gli altri malatini.....

Afrodite K è stata a Roma al Convegno "Pro Job: lavorare durante e dopo un cancro. Una risorsa per l'impresa e per il lavoratore" organizzato da AIMaC, ADAPTUniversità degli Studi di Milano. Il programma ed i relatori del convegno li potete visualizzare qui. Vorrei invece soffermarmi sulle suggestioni e sulle preoccupazioni che mi sono portata a casa:
  1. L'entità della questione? Enorme. Nel 2013 in Italia sono stati diagnosticati 366.000 nuovi casi di tumore e sono 700.000 le persone con diagnosi di cancro in età produttiva. Se poi ci soffermiamo nello specifico sul tumore al seno contraddistinto dal fatto che colpisce 1 donna su 8, le giovani sono in netto aumento, le donne hanno specifiche difficoltà ad entrare nel mercato del lavoro, ci ritroviamo anche un'altra bella patata bollente da gestire.
  2. I dati statistici parlano chiaro, la persona vuole ricominciare a lavorare. Non c'è alcun dubbio che l'attività professionale rappresenta a tutti gli effetti un bisogno ed un desiderio del malato. Lo sostiene oltre il 90% degli intervistati (Sondaggio Aimac-Piepoli del 2008). Il lavoro fa parte quindi del proprio processo di guarigione, lo accelera. E questo ovviamente vale per TUTTI, non solo per i lavoratori dipendenti......La differenza però c'è perchè se sei un dipendente è molto più facile tornare a lavorarare tecnicamente parlando, mentre se sei un autonomo tra crisi e clienti che si rivolgono ad altri "sani", devi incrociare le dita e sperare forte......
  3. I dati del 4° Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici realizzato da Censis-Favoevidenziano che le forme di gestione flessibile per conciliare lavoro e cure oncologiche sono ancora poco note e non influiscono in modo significativo sulla vita dei molti pazienti coinvolti. Il 78% dei malati oncologici infatti ha subito un cambiamento nel lavoro in seguito alla diagnosi: il 36,8% ha dovuto fare assenze, il 20,5% è stato costretto a lasciare l'impiego e il 10,2% si è dimesso o ha cessato l'attività (in caso di lavoratore autonomo). Pochi conoscono e utilizzano le tutele previste dalle leggi per facilitare il mantenimento e il reinserimento: solo il 7,8% ha chiesto il passaggio al part-time, un diritto di cui è possibile avvalersi con la Legge Biagi, poco meno del 12% ha beneficiato di permessi retribuiti (previsti dalla Legge 104 del 1992), solo il 7,5% ha utilizzato i giorni di assenza per terapia salvavita e il 2,1% i congedi lavorativi. Difficile soddisfare le esigenze produttive rispettando quelle legate alla cura. Questa situazione interessa anche i familiari o amici che assistono i malati in modo continuativo. Se la situazione è questa, e chiaramente si tratta di una fotografia con un nettissimo focus sul lavoro dipendente, lascio a voi intuire quale può essere la condizione dei lavoratori autonomi che non solo non possono beneficiare delle stesse tutele, ma nei rarissimi casi in cui siano presenti degli aiuti questi sono assolutamente sconosciuti dai lavoratori stessi, dai medici, dai commercialisti che li dovrebbero segnalare. Spesso pure dai patronati e dall'Inps.
  4. Non si può trattare oggi la questione cancro e lavoro senza correlarla con l'attuale crisi economica. La gente già arranca così, se si ammala seriamente e vede ridotto il proprio reddito (ed aumentare i costi, perchè, ebben sì, il cancro costa assai), ci si trova in guai seri. Il cancro incide sulla propria sopravvivenza materiale e non è roba da poco soprattutto se "l'incertezza"è già pesantemente aumentata nella tua vita con l'arrivo di un tumore. Se poi sei un lavoratore autonomo, vista la quasi assoluta inesistenza di ammortizzatori, questo probabilmente diventa un problema enorme ed in alcuni casi addirittura potrebbe rappresentare la difficoltà prioritaria portandoti a temere di morire prima di fame che di tumore. Ecco, questa è una questione che il convegno ha trattato decisamente poco, anzi per nulla, come se il rientro a lavoro fosse solo una questione di realizzazione personale o di produttività aziendale. Ma in realtà c'è poco da stupirsi perchè se si ignorano tendenzialmente gli autonomi, di conseguenza anche questo aspetto (visto che riguarda prevalentemente loro) passa nel dimenticatoio.
  5. Se pensi che la questione non ti riguarda perchè sei sanissimo, beh, mi dispiace molto deluderti ma il concetto di salute è molto "impermanente", toccati quanto vuoi, ma oggi ce l'hai, domani chissà. Non trascurare poi la questione che ad ammalarti potresti non essere tu, ma il tuo partner o i tuoi figli. Anche in questo caso, continua a toccarti quanto vuoi, ma se capita, diventerai tecnicamente un caregiver, saranno dolori anche per la tua attività professionale e ti serviranno tante energie e tanto tempo da investire. Morale? La questione cancro e lavoro è pure sistemica.
  6. Il tema cancro e lavoro non si esaurisce con le tutele legali ed il welfare assistenzialistico. Gli aspetti psicologici e gli impatti sulla produttività lo rendono un problema veramente complesso e multidisciplinare. Non è un caso che al convegno tra i relatori c'erano psicologi, giuslavoristi, medici.....
  7. Non c'è niente da fare, l'attuale sistema di welfare è destinato a morte sicura per la sua inapplicabilità al nuovo mercato del lavoro, ai nuovi lavoratori, insomma al mondo che cambia. Calcolando che lo Statuto dei lavoratori e degli anni '70, occorre passare da un welfare di tipo assistenzialista estremamente differenziato (fino ad essere direi anticostituzionali con certe tipologie di lavoratori) ad un welfare della persona (indipendentemente dalla sua attività professionale, o della sua non-attività. Disoccupati e precari malati dove li mettiamo sennò?). Su questo aspetto di seguito c'è un'interessante articolo del prof. Tiraboschi che era tra i relatori del convegno.
  8. Un diritto ignorato è un diritto negato. Occorre puntare sull'informazione prima ancora dell'investimento nel migliorare ciò che esiste. Molti, troppi malati non conoscono affatto i diritti e le tutele esistenti in caso di patologie oncologiche. Ed anche nel caso in cui cercandoli non li trovino per sè ma per altri lavoratori (come succede spessissimo agli autonomi), anche queste sono pur sempre informazioni da conoscere per poter difendere meglio i propri diritti.
  9. Interessante l'approccio organizzativo con il quale è stato affrontato nel convegno il tema cancro e lavoro. La questione non riguarda solo il malato ma anche tutto il contesto lavorativo in cui è inserito: colleghi, collaboratori, capi, direzione del personale che spesso necessitano loro stessi di dritte, supporto, formazione per co-gestire questa nuova variabile e co-adattarsi al cambiamento.
  10. L'obiettivo principale, per noi autonomi, è fare pressioni perchè su di noi si faccia ricerca. Le pochissime ricerche già realizzate su cancro e lavoro anche se formalmente mettono dentro anche gli autonomi (alcune però non fanno nemmeno quello) in realtà sono impostate (lo so perchè ho partecipato personalmente compilando i questionari) con domande focalizzate sulla realtà dei dipendenti. Sinceramente, a meno che uno non sia supermotivato a investire il suo tempo frustrandosi assai, dopo le prime risposte che necessitano forzature notevoli, un autonomo questionari di quel tipo finisce per abbandonarli oppure, se arriva alla fine, ha dovuto adattare le proprie risposte ad una realtà che non è la sua. Qualche esempio?: Progetto Pro Job (descritto di seguito), la ricerca di Europa Donna sulle lavoratrici dipendenti con cancro al seno, la ricerca dell'Università La Bicocca su attività lavorativa e salute psico-fisica. Insomma, chi di dovere si dia da fare per mappare e fotografare anche la fetta del mercato del lavoro formata dal 24% di lavoratori autonomi.
CONCLUSIONI: Cari autonomi, bisogna sapersi accontentare 
Il tema cancro e lavoro è appena agli esordi, questo è più che chiaro. Pretendere che sia acceso su di noi un faro che è stato fino ad ora spento per tutti i lavoratori, non è realistico. Il fatto che all'interno del convegno ci siano stati due momenti, benchè rapidi e fugaci, nei quali siamo stati citati da Michele Tiraboschi e da Elisabetta Iannelli, è già grasso che cola ed elemento di cui ringraziare (purtroppo). Nel dibattito finale Afrodite K è intervenuta e la questione l'ha lanciata. Ha alzato la sua manina da  tumorata autonoma per intervenire, si è presentata come Afrodite K sottolineando quante persone in difficoltà ci sono dietro il suo nome, precisando che la maggiorparte delle riflessioni emerse non si applica alla realtà degli autonomi, ringraziando comunque tutti per aver deciso di portare avanti un tema così importante citando anche solo la parola "lavoratori autonomi" e chiedendo molto umilmente cosa i relatori nei loro ruoli istituzionali potevano fare concretamente per noi e cosa noi, in quanto lavoratori autonomi, possiamo fare per aiutare loro ad aiutarci. Risposta non c'è stata e non poteva esserci perchè il problema nasce a monte rendendo difficile applicare ed estendere il welfare assistenzialistico dei dipendenti, già di per sè traballante e moribondo, anche agli autonomi. Occorre ripensare il lavoro, i lavoratori ed il welfare in ottica nuova. Su questo non ci piove e siamo perfettamente d'accordo. Nel frattempo però i pazienti oncologici con partita iva perdono mesi ed anni di fatturato, continuano a pagare i costi fissi, si indebitano con Equitalia e rischiano di non potersi curare adeguatamente. E anche questo è un dato di fatto: i dipendenti malati possono pazientare un pò più, gli autonomi invece, se non li fa secchi il cancro, magari ci riesce la fame.
E l'"Afrodite pensiero"? Beh, pur essendo un vecchio manga giapponese un pò malandato, con una tetta buona e l'altra bionica, a due proposte, così volanti, c'arrivo anche io.....Una ricerca seria, con dati alla mano, sul tema cancro e lavoro autonomo, un bel Pro Job 2 la vendetta, sarebbe accolto a braccia aperte da molti. Smanettando su google e digitando parole chiave come "cancro" e "lavoro autonomo", sapete cosa viene fuori? Meno di un anno fa, nulla (lo so con sicurezza perchè appena mi ammalai cercai informazioni come una disperata e non trovai niente). Adesso spopola Afrodite K ed il suo Blog. Direi che è il caso di correre ai ripari, no? Insomma, lasciare la responsabilità dell'informazione e della denuncia a una con una tetta sola non è il massimo. Secondo poi, ove possibile (e, per quanto riguarda la gestione separata Inps, lo è eccome) mettere in pratica le richieste che fanno parte della Petizione "Diritti ed assistenza ai lavoratori autonomi che si ammalano" alcune delle quali sono a costo zero.

E per approfondire il tema cancro e lavoro

Eccovi un bel po' di materiale anche se purtroppo la maggioranza (ma direi quasi più la totalità) dei seguenti documenti riguarda il lavoro dipendente come se gli autonomi non esistessero o non si ammalassero. In effetti perpretare questa esclusione non solo è una cosa poco carina da fare (decisamente poco empatica) ma profondamente scorretta e poco attuale come descrizione della realtà visto che il cancro non chiede certo certificati lavorativi prima di colpirti e che se lo Stato fa differenza tra i lavoratori, la malattia di certo non ne fa (vedi campagna video).
La sfida per il futuro sarà quindi anche quella di ampliare le aree di ricerca anche al popolo delle partite iva, sfida necessaria visto che la tendenza a "nascondersi", già presente nei dipendenti, è ancora maggiore per gli autonomi che devono apparire, nei confronti dei propri clienti (fonte di lavoro e sostentamento) assolutamente performanti e sanissimi.

Cominciamo con le guide sui diritti del malato di cancro, purtroppo tutte improntate sul lavoro dipendente:
Guida dell'AIMAC - Associazione Italiana Malati di Cancro, parenti e amici (10a ed. 2013)
Guida della LILT - Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori (2012)
Guida della ASl di Firenze (2011)
Le informazioni di oncoguida.it
Guida di Europadonna per le lavoratrici operate al seno (2005)

Da citare una recente iniziativa (principale oggetto del convegno tra l'altro), il Progetto Pro Job, proposto da Associazione Italiana Malati di Cancro (AIMaC), Università di Milano, INT di Milano e Fondazione Insieme Contro il Cancro. Pro Job è stato premiato nell’ambito del Sodalitas Social Innovation Award, quale iniziativa più meritevole della categoria Italia Salute. Il progetto prevede strumenti volti a promuovere l’inclusione dei lavoratori malati di cancro nel mondo produttivo, sensibilizzare il management a creare per il malato condizioni ottimali nell’ambiente di lavoro, agevolare i lavoratori che hanno parenti malati a conservare il lavoro come previsto dalle tutele normative vigenti, disincentivare il ricorso a procedure inadeguate per fronteggiare le conseguenti difficoltà sul lavoro. Pro Job, anche grazie al coinvolgimento di ADAPT, la scuola fondata da Marco Biagi, e del suo gruppo di esperti, prevede anche lo sviluppo di interventi personalizzati di sostegno psicologico all’interno della stessa azienda.
Anche se in questo progetto noi lavoratori autonomi non siamo contemplati, il progetto di per sè è davvero meritevole e tifiamo tutti perchè possa proseguire ed estendersi in tutta Italia. La speranza è che possa presto nascere un Pro Job 2 per le partite iva.

La ricercatrice Fabiola Silvaggi propone un'interessante articolo con una carrellata di ricerche in ambito europeo: "Il ritorno al lavoro dopo il cancro: una prospettiva europea".

Può essere utile tenere d'occhio l'Osservatorio lavoro e malattie croniche di ADAPT.

Michele Tiraboschi, Professore ordinario di diritto del lavoro all'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia ha scritto Occupabilità e lavoro delle persone con malattie croniche: appunti per una ricerca

Simone Varva propone "Malattie croniche e lavoro. Una prima rassegna ragionata della letteratura di riferimento" in un e-book del 2014 che  analizza l’impatto complessivo delle malattie croniche sulla tenuta dei sistemi sanitari e di welfare le cui criticità sono ora accentuate, in termini economici e di sostenibilità nel medio e nel lungo periodo, dall’innalzamento della aspettativa di vita e dal conseguente riallineamento verso l’alto dei criteri di accesso alla età di pensione
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